lunedì 7 novembre 2022

La scomparsa di Stephanie Mailer: un buon thriller

 L'abbiamo scoperto solo adesso: nel 1994 ci era sfuggito.


Questa frase potrebbe riassumere la trama, l'andamento dell'indagine e anche il senso dell'intera opera. È il leitmotiv del romanzo: tutto ruota intorno a quanto sono stati brocchi i due poliziotti statali che indagavano sul caso di un quadruplice omicidio avvenuto nella cittadina di Orphea nel 1994 e che, per vent'anni, tutti hanno creduto risolto. Così brocchi che la giornalista Stephanie Mailer, vent'anni dopo, sta indagando su quel vecchio caso e va a dirlo a uno di quegli agenti, Jesse Rosemberg: non avevate capito niente e avevate la verità di fronte agli occhi ma non ve ne siete accorti. Solo che la giornalista scompare subito dopo e Rosemberg, messo sulla nuova pista dalla Mailer, riprende a indagare col vecchio compagno Derek Scott e la vicecomandante della locale polizia di Orphea, Anna Kanner.

Così brocchi, aggiungerei, che non appena ci descrivono il quadruplice omicidio, la prima cosa che mi è venuto da pensare è stato "ma perché hanno stabilito di colpo che...senza mai dubitarne", così che il plot-twist che arriva a pochi capitoli alla fine del libro in realtà non è un colpo di scena, ma un'ovvietà, come infatti la Mailer aveva rivelato a Rosemberg. La soluzione del caso invece è tutt'altro che ovvia e scontata, anzi, ed è arrivata così velocemente e senza che fosse stata preparata nel corso del romanzo, che io sono ancora insoddisfatta (come mi era capitato con La verità sul caso Henry Quebert, anche se lì ci arrivava con più calma e costruzione). Dicker mi ha deluso entrambe le volte su queste risoluzioni: fondamentalmente quattro quinti del malloppo, sempre sostanzioso, raccontano eventi vari, molto ben scritti e interessanti, ma poi solo nell'ultimo quinto (pure meno) ci sono gli elementi dirimenti dell'indagine.

In generale il libro mi è piaciuto molto: l'intreccio è fitto di personaggi molto interessanti, ben descritti e le cui storie sono ingegnose e quasi sempre avvincenti, anche quando ti domandi come mai Dicker te li stia presentando. I poliziotti però, quelli del caso originario, non sono presentati benissimo e fanno la figura degli imbranati: costantemente si pongono le domande sbagliate e vanno alla ricerca di fatti che confermino il primo sospetto o la prima teoria che gli balena in testa, anziché ricercare metodicamente i fatti e interrogare minuziosamente tutti i testimoni possibili (e infatti scoprono solo nel 2014 un sacco di cose che si erano persi vent'anni prima).

La ricchezza di personaggi e avvenimenti è tipica di Dicker, che è maestro nell'arte dell'intrattenimento, anche se presenta sempre un po' sempre i soliti difetti, tra cui riempire le pagine semplicemente per farlo, visto che ai fini della trama fino alla fine c'è poco e molto di quanto accade prima è un diversivo. Mi convinco sempre più che sia un mestierante che fa vendere (e fa leggere) più che un grande autore, ma se quel che si cerca è un libro che tenga piacevolmente impegnati, sicuramente Dicker sa farlo. Scrive tanto, quindi tiene impegnati per un bel po' e scrive molto bene. La prosa è sempre scorrevole e trascinante, semplice, leggera. A tratti non riesci a staccargli gli occhi di dosso e devi sapere come va a finire. In questo caso i fatti sono fitti e si concatenano in un ritmo incalzante proiettandoci subito nel vivo della vicenda, a differenza di quanto accadeva con Henry Quebert e questo l'ho apprezzato molto, sembra più un thriller. Ci sono più fatti e meno elucubrazioni mentali dei personaggi (molto presenti nell'altro testo, che portavano verso un certo patetismo non proprio gradevole), a cui si presta facilmente la narrazione in prima persona, ma in questo romanzo i punti di vista si alternano continuamente in un mix di prima e terza persona non sempre riuscito. La storia anche mi è piaciuta di più, molto intrigante per quanto riguarda la famigerata Notte Buia che continua a saltar fuori durante l'indagine.

Un altra caratteristica di Dicker, sebbene non sia propriamente un difetto, ma più una sua ossessione è la ricorrenza di certi temi nei vari romanzi (anche se al momento sono solo a quota tre letti e dovrò approfondire con altre letture se si estenderanno anche agli altri testi). Tra questi temi ricorrenti la ricerca di una persona scomparsa, l'attesa di un personaggio della donna fatale senza che mai si rifaccia una vita, il laghetto paradisiaco, la piccola cittadina (Aurora = Orphea) che va nel panico, il bar fulcro di tutto (Athena = Clark's), la ragazza che fugge nel bosco come Cappuccetto Rosso, lasciando un brandello di vestiti attaccato ai rami degli alberi e sicuramente i cold cases, che permettono di alternare vicende del presente e del passato (1975 in La verità sul caso Henry Quebert, 1994 in questo romanzo e 2003 ne L'enigma della camera 622). Questo provoca senza dubbio il più fastidioso dei difetti di questa narrazione: le ripetizioni. Detesto il racconto doppio, se non spesso triplo, per cui un episodio è raccontato prima dal personaggio, poi è narrato al passato e in qualche caso capita che un personaggio lo debba riportare di nuovo ad altri personaggi. 

Cosa mi è piaciuto: ottimo intrattenimento

Cosa non mi è piaciuto: pessimo giallo, ripetizioni odiose

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2

Nessun commento:

Posta un commento