domenica 5 marzo 2023

Un Alexandre Dumas storico: I Borgia

 Alexandre Dumas padre ha scritto alcune delle opere più belle che io abbia mai letto. I tre moschettieri hanno segnato non solo i miei gusti letterari, ma hanno anche rafforzato in me gli ideali di amicizia, lealtà, onore e coraggio. Il Conte di Montecristo è, per me, una delle epopee più belle mai concepite. Quando mi è capitato, ho dunque cercato di recuperare anche altre opere, pur essendo lontana dall'aver collezionato tutto quello che l'autore ha scritto (e forse è anche impossibile).


Questo febbraio mi sono cimentata nella lettura de I Borgia, il racconto delle trame diaboliche della famiglia più potente di Roma e d'Europa tra il 1492 e il 1503, cioè negli undici anni in cui Rodrigo Borgia è stato papa col nome di Alessandro VI. In quegli anni il papa e i suoi figli, in particolare Cesare e Lucrezia, avrebbero fatto il bello e il cattivo tempo nella politica della penisola italiana, attraverso guerre, espropriazioni, intrighi e i matrimoni di Lucrezia, che duravano fintanto che quello specifico marito favoriva i piani di Rodrigo e del Valentino.

La ricostruzione si basa su documenti storiograficamente affidabili, che Dumas cita in parte, ma probabilmente specula molto, laddove non si può fare altro che immaginare, sulle leggende che aleggiavano intorno al nome di quella famiglia. Misteriosi veleni in polvere e liquidi, morti sospette, sparizioni misteriose e, soprattutto, incesti tra padre e figlia e tra sorella e fratelli, così gelosi l'uno dell'altro che Cesare avrebbe fatto assassinare il duca di Gandia, il sangue del suo sangue. Il Valentino è ritratto con l'aura di terrore che ispirava: furbo e manipolatore, pronto a tradire nemici e amici pur di ottenere i suoi obiettivi. Alessandro VI è altrettanto egoista, disposto a infangare i valori della cristianità per la gloria e il potere della propria casata. Lucrezia è maliziosa e scaltra.

Lo stile di Dumas è sempre scorrevole e avvincente, tranne che nell'elenco delle dotazioni militari degli eserciti schierati. Quasi metà del romanzo è dedicato alla discesa di Carlo VIII in Italia, nei primi tre anni del papato, mentre quasi niente è scritto su Lucrezia, a eccezione dei legami che il padre e il fratello le intrecceranno per proprio tornaconto. Nonostante questo, la donna è dipinta come manipolatrice delle sorti come i suoi parenti uomini. Maria Bellonci le rese maggiore giustizia con la biografia che le dedicò nel 1939, contestando anche le accuse di incesto, che non hanno mai avuto prove storiche.

Giudizio: anche se scritto con la scorrevolezza dei romanzi di cappa e spada, il libro mi è parso molto sbilanciato, sia nei tempi del racconto, sia nel ricamo intorno alle leggende nere che circondano i personaggi ⭐⭐ 1/2

Le spy stories di Agatha Christie: L'uomo vestito di marrone

 La regina del giallo nel corso degli anni si è cimentata spesso anche col genere dello spionaggio. Ho colto la sfida dello Scaffale Strabordante per smaltire uno dei volumi del genere spy, che avevo acquistato dalla collana dedicata ad Agatha Christie, uscita in edicola per Mondadori nel 2021.


L'uomo vestito di marrone
è un breve romanzo che mi ha molto sorpresa: inizia in modo tranquillo, con la protagonista che rimane orfana del padre, illustre antropologo, e che si trasferisce a Londra a cercare fortuna e, soprattutto, avventure. La giovane Ann è molto intraprendente e, quando si ritrova a essere testimone involontaria di una strana morte, si getta senza indugio sulla pista che la porterà a bordo di una nave diretta in Sud Africa per indagare su un misterioso furto di diamanti.

Ho adorato la protagonista, coraggiosa al limite dell'incosciente, enormemente decisa a fare di testa propria e a seguire il proprio istinto: è un bel personaggio, forte, impavida e testarda. Sente di avere ragione e prosegue imperterrita sulla propria strada, a dispetto dei pericoli e anche di chi tenta di darle a bere storie. Mi sono piaciuti anche gli altri personaggi, ambigui fino alla fine, come deve essere in un giallo, per imbrogliarci adeguatamente su chi nasconde cosa. Ma soprattutto mi sono piaciute le vicende: anche se alcuni schemi si ripetono nel romanzo, non ci sono mai fasi di stallo, succede sempre qualcosa e il lettore non resta senza colpi di scena. Mi sono piuttosto divertita ed è stata una lettura scorrevole.

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2

Due letture crime: A sangue freddo e Laëtitia (o la fine degli uomini)

 Questo 2023 si è aperto all'insegna del genere crime: mi sono iscritta a un gruppo di lettura a tema, che come due primi titoli ha proposto A sangue freddo, il celebre romanzo-verità di Truman Capote (che mia sorella, tra l'altro, aveva appena terminato) e Laëtitia o la fine degli uomini di Ivan Jablonka, cattedratico parigino che insegna storia contemporanea.


❤ Il mio primo contatto con A sangue freddo, in realtà, è stato il film del 2005 di Bennett Miller. L'ho rivisto per l'occasione, dopo aver concluso la lettura del romanzo, dato che non ricordavo nient'altro che l'interpretazione di Philip Seymour Hoffman, che gli valse l'Oscar nel 2006, edizione per cui la pellicola fu candidata anche come miglio film, regia, sceneggiatura e per l'interpretazione di Catherine Keener nei panni della scrittrice e amica di Capote, Harper Lee.

Sono rimasta sorpresa e incantata dalla scrittura di Capote. Il racconto della vicenda è asciutto, ma estremamente particolareggiato. La prosa in alcuni momenti è quasi poetica, ma sempre comunque molto semplice e scorrevole. Capote affronta tutto, compresi dettagli che il lettore potrebbe dubitare abbiano attinenza con la storia, come i casi di cui lo sceriffo si era occupato prima di quello della famiglia Cutter. Ogni informazione su cui Capote è riuscito a mettere le mani sembra essere stata inserita, come a dare il quadro più completo possibile dell'ambiente che circonda tutti i personaggi. Per il genere, questo romanzo segna una svolta: è il primo libro-verità, come lo definisce l'autore, o romanzo-reportage su fatti di cronaca.

Il romanzo si articola in quattro parti, di cui tutta la prima (Gli ultimi a vederli vivi) ricostruisce l'ultima giornata di vita dei quattro membri della famiglia Cutter, restituendo loro gli abiti, le azioni, le preoccupazioni e le speranze che potevano averli animati e che sono state stroncate prematuramente quella mattina di novembre del 1959. La lettura di questa parte, sapendo cosa li stava attendendo, è stata molto dolorosa. Come dice l'autore, sembravano le ultime persone a cui poteva capitare: un bravo padre di famiglia, agricoltore che si impegnava attivamente nella comunità locale e della sua fede, uomo integerrimo; due figli giovanissimi, Nancy e Kenyon, che si stavano affacciando alla vita, impegnati a loro volta. La signora Cutter, che soffriva di depressione, è stata tratteggiata con grandissima delicatezza e con un'attenzione per la patologia mentale non comune per il 1965. Ma Capote alterna al racconto delle vicende dei Cutter la ricostruzione delle stesse ore dei due assassini, che si preparavano a quello che immaginavano sarebbe stato il colpo della vita. Nelle altre sezioni seguiamo invece l'investigazione, che porterà a catturare i due malviventi, anche in questo caso alternata alla ricostruzione del viaggio in Messico e poi in giro per gli States dei due sbandati; il processo, la lunga incarcerazione e la loro impiccagione. Grazie alle interviste che Truman Capote condusse presso i due assassini, che nel romanzo sono accennate appena, con un piccolo riferimento al giornalista che aveva il permesso di visitarli, lo scrittore riesce ad approfondire non solo le motivazioni del delitto, ma anche il carattere e il background di Perry Smith e Richard Hickock.

Dal film, che avevo completamente dimenticato, si comprende bene la natura dell'ossessione che Capote sviluppò per i due condannati, soprattutto per Smith, che aveva conosciuto un'infanzia di violenza e abbandono. Il film ha come cardine proprio il lavoro di approfondimento e ricostruzione che svolse il celebre autore di Colazione da Tiffany, così coinvolgente ed estenuante da turbare lo scrittore, che non terminerà più un'altra opera.

Nel romanzo, invece, il narratore non si percepisce, resta onnisciente, ma nascosto. L'immane compito di ricostruire non è affrontato in prima persona: c'è e si percepisce, ma solo dalla mole di dettagli e dal fatto che sono riportati stralci di dichiarazioni di alcuni personaggi. Lo scrittore resta super partes e sembra non dare giudizi sulle vicende, ma non ci risparmia niente, con la sua oggettività, del dramma umano di tutte le persone coinvolte nella vicenda: le vittime, la comunità, i detective e le loro famiglie, avvocati, giurati, giudici e persino gli assassini. Il primo paragrafo, che descrive la cittadina di Holcomb, annuncia proprio cosa sta per succedere:

Al momento neppure un'anima di Holcomb, villaggio immerso nel sonno, li udì: quattro colpi di fucile che, a conti fatti, posero fine a sei vite umane.

Giudizio: ricostruzione accurata della vicenda, che mi ha fatto piangere calde lacrime per la famiglia Cutter e che ha tentato di contestualizzare ogni aspetto dell'efferato quadruplice delitto. ⭐⭐⭐⭐

❤ Laëtitia (o la fine degli uomini) è stato un'altra dolorosa discesa nelle miserie umane.

Anche questa è stata una ricostruzione molto accurata, scavata a fondo in questo caso di cronaca, che è diventato caso di stato, poi si è duplicato, essendosi originato un altro crimine, diverso da quello di origine. Esattamente come un'idra, a ogni nuova svolta nelle indagini, sbucava una nuova testa.

Il delitto in sé sarebbe stato semplice, orrendo, ma semplice: una ragazza appena maggiorenne, Laëtitia Perrais, che viene rapita, uccisa e fatta a pezzi da un ex galeotto, già con diverse condanne alle spalle e una escalation di violenza, che era pronta ad abbattersi alla prima occasione sulla prima donna che gli si fosse avvicinata. Gli inquirenti, tra l'altro, fermano l'uomo già il giorno dopo, ma è troppo tardi: si è già disfatto del cadavere e non intende rivelare dove, perché senza corpo, le accuse sarebbero state vaghe e deboli. Saranno le forze dell'ordine, con un dispiegamento di mezzi mai visto, a ritrovarla. L'assassino, però, doveva essere sorvegliato, poiché era stato rilasciato dal carcere, ma con obblighi di controlli, che non rispettava e nessuno faceva rispettare. Questo e la violenza del crimine porta Sarkozy a strumentalizzare la vicenda per la sua campagna di inasprimento delle pene contro chi commette reati sessuali o recidiva. Pochi mesi dopo la morte e il ritrovamento di Laëtitia, verrà a galla un altro orrore: il padre affidatario di Laëtitia molestava la sua gemella, Jessica. 

Questi i fatti, nudi e crudi, ma Jablonka ha dichiarato che l'intento del libro era storico-sociologico: non il mero racconto della morte di Laëtitia, ma la restituzione di un quadro più complesso: la vita della ragazza, da quando è nata agli ultimi istanti prima della morte, passando per le delicate vicende della sua infanzia. Portate via ai propri genitori perché incapaci di provvedere loro, Laëtitia e Jessica passeranno attraverso servizi sociali e affidi, generando i traumi e le risposte che condizioneranno le loro vite. La ricostruzione sociologica e, anche, politica vuole raccontare i perché e i come da una parte Laëtitia potesse diventare preda e dall'altra come l'assassino abbia potuto colpire. È quasi uno scavo nelle viscere della società francese, ed è stato molto interessante.

Anche in questo caso, i capitoli che trattano il racconto dei fatti di cronaca, le indagini, l'infanzia delle gemelle si alternano alle riflessioni sulla magistratura, la politica, i sistemi carcerari e di sorveglianza, ma non in ordine cronologico. Questo ha comportato un ripetizione di alcuni episodi, con conseguente difficoltà a seguire, soprattutto alla fine. Terminato di trattare le vicende, Jablonka si è dilungato molto e spesso si è vantato della sua bravura nel convincere gli interlocutori ad aprirsi, dei suoi nobili intenti di non voler sfruttare Laëtitia, ma di volerle dare dignità. In questo senso il narratore si è molto sentito, è stato spesso presente nel raccontarsi nei suoi rapporti con le parti in causa e l'ho trovato in certi discorsi anche ruffiano, infiocchettando le vittime al punto di uscire dal suo originale intento. Jablonka ha un'ottima prosa, molto scorrevole e colta, con anche sfoggio di termini eruditi, al limite della forzatura. Il libro è scritto benissimo, ma non riesce a essere emozionante come lo era stato Capote.

Giudizio: ottima ricostruzione, stile scorrevole e riflessioni di grande interesse ⭐⭐⭐ 1/2