Pieno di errori grossolani, banale e noioso.
Basterebbero queste parole per riassumere quello che è i libro di Nina De Gramont, Il caso Agatha Christie, edito in Italia da Pozzi Editori. E pensare che me lo ero fatta regalare per Natale con aspettative altissime, dovute all'intrigante tagline:
"Nel 1926 Agatha Christie sparì per undici giorni. Sono l'unica a conoscere la verità su questa scomparsa. Non sono Hercule Poirot. Sono l'amante di suo marito."
Premesse molto promettenti.
In effetti il libro parte da un evento che si era davvero verificato il 3 dicembre del 1926: la signora Christie e il marito litigarono a causa dell'amante di lui, Nancy Neele, che frequentava da tre anni, dopodiché lui partì per un week end proprio con l'altra donna, mentre Agatha Christie si allontanò in serata con la sua auto. Il giorno dopo l'auto fu ritrovata fuori strada con dentro la valigia e i documenti della scrittrice, ma della donna non si seppe nulla, nonostante fosse stata organizzata una ricerca con 15.000 volontari e l'utilizzo di aerei, fino al 14 dicembre, quando fu rintracciata in un albergo di Harrogate, registrata col cognome dell'amante del marito e in preda ad amnesia. In seguito i coniugi Christie divorzieranno e Archie Christie sposerà effettivamente Nancy Neele, mentre Agatha Christie sposerà l'archeologo Max Mallowan. E questa è storia.
Non si è mai saputo cosa fosse accaduto di preciso: si è sempre ritenuto che la scomparsa fosse stata dovuta agli eventi traumatici che avevano colpito la scrittrice in quei mesi (la richiesta di divorzio del marito e prima ancora il lutto per la morte dell'amata madre). La stessa Christie glissa l'argomento nella sua autobiografia, che mi sono decisa a comprare, dopo molto tempo che la tenevo nella wish list, anche per ripulirmi la mente dalle sciocchezze scritte in questo libro.
Chiunque, di fatto, potrebbe speculare sulla decina di giorni di sparizione della donna e sulle cause. Ma proprio chiunque, tanto è vero che lo fa questa americana De Gramont, con risultati orridi.
Elencherò dunque tutte le ragioni per cui questo romanzo è spazzatura (potrebbero esserci parziali spoiler, ma niente che non si capisca dopo la lettura dei primi capitoli - i plot twist, per intendersi, non saranno sciupati):
- la protagonista non è la regina del giallo, ma l'amante del marito, che qua prende il nome di Nan O'Dea, non si sa perché. Questo mi dava già molto fastidio, perché avrei voluto che la storia si incentrasse sul leggendario mistero di questa scomparsa, sulle mosse della scrittrice in quei misteriosi giorni e non su un'altra tizia, che avrebbe potuto essere semplicemente la narratrice.
- La protagonista è antipaticissima, non solo in quanto odiosa ladra di mariti, ma soprattutto perché le sue motivazioni per tale furto e per la preferenza del signor Christie all'uomo che ha sempre amato sono assolutamente irrazionali, caratteristica che detesto sempre. La motivazione da cui parte tutto non è credibile, oltre che offensiva per i Christie.
- La narrazione per quasi tutto il tempo è in prima persona, ovvero resa attraverso la voce della O'Dea, il che comporta due ordini di problemi:
- la narratrice è onnisciente senza motivo (perché mai dovrebbe sapere come l'amante parla di lei, specialmente se dice qualcosa che non avrebbe motivo di dirle dopo? o di dialoghi che non possono esserle stati riferiti, per esempio tra l'editore della Christie e Conan Doyle?);
- è una narrazione difficile da mantenere e infatti, quando l'autrice (e l'editore) se ne dimentica, senza motivo a un certo punto si passa a una terza persona (da "di me" a "di Nan").
- I capitoli si chiamano "Qui giace sorella Mary" e "La scomparsa", ma non sono due. Sono trentacinque capitoli che si titolano alternativamente in un modo o nell'altro. Sarebbe già odiosa di per sé questa ripetizione che sa molto di pigrizia, sennonché i nomi dei capitoli dovrebbero rimandare a un preciso contenuto, dividendosi nel racconto strappalacrime (ma non a me) di Nan e nella cronaca delle ricerche della Christie. Peccato che questa rigida divisione non sia mantenuta, lo svolgimento degli argomenti nei capitoli diventa abbastanza libero e dunque la monotonia dei titoli perde qualunque significato.
- Alcune cose che succedono sono insensate e forzatissime (ora occorre fare degli spoiler esemplificativi): uno degli ispettori che cercano Agatha Christie per tutta l'Inghilterra a un certo punto si perde per una campagna sconosciuta, si imbatte in una casa qualunque, si avvicina, sente il ticchettio di una macchina da scrivere, bussa e gli apre la scrittrice scomparsa. Per me questo è un troiaio, non ha senso e i lettori dovrebbero essere avvertiti di cosa si troveranno davanti. Di più, essendo la persona più ricercata della Gran Bretagna, col volto sulle prime pagine dei giornali, la nostra scrittrice si prende il lusso di andare per negozi e altri luoghi pubblici senza mascherarsi. Questa irrazionalità diventa dunque il codice di comportamento di molti dei personaggi che compaiono.
- A un certo punto, per non farsi mancare nulla, compare il delitto. Su questo delitto la De Gramont mette in bocca alla Christie delle parole che non le sarebbero state proprie: sembra accettarlo, giustificarlo, quando la scrittrice ha sempre fatto dire a Poirot che l'omicidio non è giustificabile e cha ha un atteggiamento borghese nei confronti del delitto. Almeno nei gialli i lettori hanno diritto di vedere il colpevole consegnato alla giustizia e l'unica volta in cui la Christie viene meno a questa regola è ne L'assassionio sull'Orient Express, che però ha una struttura e una soluzione particolarissime e quello che avviene è giustificato dal fatto che si tratti più un processo-condanna nei confronti di chi tolse molte vite, che un semplice omicidio. Il delitto ne Il caso Agatha Christie, al contrario, è una semplice vendetta in cui le vittime rispondono con l'omicidio a crimini completamente diversi, andando oltre persino al barbarico "occhio per occhio" biblico.
Nessun commento:
Posta un commento