lunedì 4 settembre 2023

L'invincibile estate di Liliana Rivera Garza: il ricordo della sorella

Appena sei mesi dopo aver letto lo straziante Laetitia, ovvero la fine degli uomini, nel gruppo di lettura crime Mari Criminali, col quale sto affrontando questo filone letterario, mi sono (e ci siamo) imbattuta in un libro molto simile, una nuova uscita editoriale del 2023: L'invincibile estate di Liliana.


A Città del Messico, il 16 luglio 1990, Liliana Rivera Garza fu assassinata da un suo ex fidanzato, un uomo possessivo e geloso, che mal tollerava la vita condotta dalla sua ex ragazza nel mondo universitario della metropoli.

Un femminicidio.

Oltre trent'anni dopo, la sorella Cristina smuove i ricordi e gli eventi: chiede che l'inchiesta sia riaperta, rompe l'argine del dolore che ammutolisce lei e i suoi genitori e ricostruisce con infinito amore chi era Liliana, cosa le piaceva, cosa l'animava, come amava vestirsi, quali passioni condivideva e con chi.

Come in Laetitia l'obiettivo è ridare corpo e tridimensionalità alla vittima, farla rivivere attraverso le testimonianze dei suoi amici e parenti e tramite le lettere e i biglietti che scriveva in continuazione.

Le somiglianze tra i due libri sono di intenti, le differenze stanno sostanzialmente in due punti:

  • la voce narrante non è di uno sconosciuto che si approccia dall'esterno al mondo della donna uccisa, bensì quello di una delle persone a questa più stretta, la sorella;
  • l'ordine del racconto è profondamente diverso.
Ivan Jablonka è metodico e piuttosto ordinato: su due binari paralleli corrono due distinte ricostruzioni, da un lato il caso di cronaca, dall'altro la vita di Laetitia.
Cristina Rivera Garza è più caotica: il racconto va dove la conduce il cuore, ma da metà romanzo in poi comincia a seguire un ordine cronologico anche lei, almeno per gli ultimi mesi della vita di Liliana: le uscite con gli amici, le frequentazioni, gli studi di architettura, in cui riversava tanta passione, l'ombra del suo passato che incombeva su di lei senza lasciarle totale libertà di movimento.

Il Messico e il suo machismo. Anche un episodio di Criminal Minds (1x19) si incentra su questo aspetto culturale della nazione: ogni vero uomo deve dimostrarsi tale nel senso più retrogrado del termine e ogni donna deve sottometterglisi.
Malgrado le vedute abbastanza aperte dei genitori, che fanno studiare le figlie all'università negli anni Ottanta, Liliana cresce in un paese abbastanza piccolo e si lega a un ragazzo al liceo. Con alti e bassi prosegue con lui una relazione che non si interrompe del tutto neanche quando la ragazza si trasferisce a Città del Messico per studiare architettura. Il legame, però, si sfibra. Liliana conosce un mondo fatto di libertà e indipendenza, conosce amiche e amici nuovi, ragazzi giovani che, a loro volta, studiano, appartengono al suo mondo, mentre Angel è rimasto al paese a lavorare. Pur con difficoltà, Liliana si smarca da questo rapporto che le tarpa le ali e questo segna la sua fine.
La mentalità da padrone del giovane uomo non accetta che Liliana abbia una vita dopo di lui. Paragonandosi a un dio, come ogni assassino nei femminicidi, decide di togliergliela.

Lo stile è scorrevole, ma al contempo nostalgico e trapela tutta la sofferenza e il rammarico di questa sorella che ha perso l'essere amato: un'assenza con cui ha convissuto tutta la vita.

Mi sono piaciuti molto alcuni passi in cui Cristina, citando anche No visible bruises della giornalista americana Rachel Louise Snyder, spiega i meccanismi con cui si instaura la violenza e il circolo vizioso che rende difficile per la vittima svicolarsi dal giogo che la immobilizza. 
Solo per fare un esempio: per quale ragione una donna che sa di essere picchiata o minacciata non si allontana, non fugge, non grida aiuto? Questa è un'accusa che viene spesso rivolta alle vittime dei femminicidi e delle violenze. Anche Liliana si era tenuta Angel non del tutto distante, malgrado volesse lasciarlo o addirittura lo avesse fatto. Snyder paragona l'uomo abusante a una fiera pericolosa e imprevedibile.
"Le vittime restano perché sanno che qualunque movimento improvviso potrebbe provocare l'orso. Restano perché con il tempo sono riuscite a sviluppare alcune strategie capaci di calmare, a volte con successo, il partner furioso: pregano, supplicano, promettono, adulano, dimostrano pubblicamente il proprio affetto per l'aggressore e gli si dimostrano alleate perfino contro le persone - come la polizia o gli avvocati o gli amici o la famiglia - che potrebbero salvare loro la vita. Le donne maltrattate restano perché vedono l'orso che si avvicina. E vogliono vivere."
Un'altra riflessione importante - questo libro ne contiene molte e andrebbe davvero letto e questa analisi-recensione non riuscirà a esaurire gli spunti che fornisce, ma d'altronde l'intento è di incuriosire affinché altri, dopo di me, possano decidere di intraprendere questo "studio" - è quella del senso di colpa dei familiari. La colpa di quanto successo a Liliana finisce, in un paese maschilista come il Messico (e, aggiungerei, come l'Italia), per ricadere sui genitori della ragazza e, più o meno indirettamente, anche sulla stessa vittima.
"Più soli che mai in una città feroce che ci è piombata addosso con le potenti fauci del machismo: se non l'aveste lasciata andare a Città del Messico, se fosse rimasta a casa, se non le aveste dato tanta libertà, se le aveste insegnato a distinguere tra un brav'uomo e uno pessimo."
Ci sono molti altri temi affrontati in questo volume: il senso di colpa di chi resta nel continuare a vivere o, peggio, a godersi la vita; le difficoltà di ottenere giustizia, di far riaprire un caso, di tenere aperte delle indagini in un paese in cui il femminicidio è riconosciuto solo nel 2012 e, dunque, negli anni Novanta non esistevano neppure i termini per definire quanto accaduto; i segnali che possono esserci stati, oppure no, negli ultimi mesi - e non solo - della vita di Liliana; e molto altro.

Un libro interessante e potente, un grande messaggio d'amore e un atto di denuncia:
"Lo buttiamo giù il patriarcato."

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