giovedì 20 ottobre 2022

Muoversi per restare fermi: la bellezza del Colibrì

Oggi parliamo del libro vincitore del Premio Strega 2020, Colibrì, di Sandro Veronesi, 368 pagine, edito dalla Nave di Teseo. 
L'ho finito domenica mattina, in tempo per andarmi a vedere la sera il film che ne è stato tratto, di Francesca Archibugi. E per essere precisi l'ho finito con un bel pianto.



È uno di quei libri di cui parlo malvolentieri, perché avrei voglia di tenermi tutte le sensazioni per me.
È un libro che mi ha fatto capire che ci sono volte in cui non si può andare avanti in contemporanea con più letture, perché ha preteso tutta la mia attenzione senza contaminazioni.
Ero entrata dentro il libro, dentro il suo umore, la sua intimità e non potevo uscirne per ritrovarmi altrove. Ci ho provato, perché l'ho iniziato quando ho visto che usciva il film e volevo tentare di leggerlo in due settimane, ma ne avevo già cominciato un altro. Ho dovuto smettere la prima lettura perché mi sembrava di farmi violenza.
Se non si è ancora capito, mi è piaciuto moltissimo.

È la storia, raccontata in terza persona, ma anche tramite lettere e messaggi whatsapp, di un oftalmologo, Marco Carrera, soprannominato dalla madre colibrì perché fino all'adolescenza era stato più piccolo di statura degli altri compagni, raggiunti poi in centimetri in seguito a un trattamento ormonale, ma comunque aggraziato e proporzionato. È la ricostruzione della sua vita intera. È la storia della sua famiglia, il matrimonio dei genitori, le storie del fratello, Giacomo, e della sorella, Irene, la storia del suo matrimonio esplosivo e del suo rapporto con sua figlia Adele, la storia delle sue amicizie, del suo vizio per il gioco d'azzardo, ma soprattutto la sua storia d'amore -infinito e impossibile- con Luisa.

Ognuna di queste vicende è, per me, raccontata in modo meraviglioso e mi sono appassionata alla storia, straziante, di ogni personaggio. Ho apprezzato ogni snodo e ogni decisione sul destino di questi personaggi, che compongono una trama sfaccettata quasi come una vita reale. La narrazione è intrecciata nel tempo e in ordine non cronologico. Ogni filone del racconto è dipanato in tempi diversi, quasi non ci siano tempo presente, passato e futuro: si mescolano uno nell'altro.
Sono stata trascina nel vortice delle storie fin da subito ed è stato totalizzante.
La prosa è bellissima. I dialoghi funzionano benissimo. Nei capitoli di massima intensità, le parole non si fermano, il discorso non è inframezzato da punti, quasi un flusso continuo di dolore che sgorga.

Per me ha avuto delle vibes alla Cambiare l'acqua ai fiori: la stessa immersione, lo stesso affezionarsi ai personaggi, lo stesso trasporto nel loro mondo e nel provare sulla pelle le loro emozioni.

Non la tirerò per le lunghe, anche perché non si può dire di più (ogni storia ha bisogno di essere svelata nel momento giusto e ogni anticipazione ulteriore sarebbe un crimine nei confronti chi non l'ha letto e ha diritto di scoprirlo poco alla volta come ho potuto fare anch'io): per me non ha avuto difetti.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐⭐

martedì 18 ottobre 2022

Estate delle saghe familiari (parte 3): gli Aubrey

Vado oggi a raccontare un libro di Rebecca West che è tornato in auge negli ultimi anni grazie a una nuova edizione e alla buona pubblicità che gli ha fornito Alessandro Baricco, quando in un'intervista sostenne che se avesse dovuto portare con sé su un'isola deserta una sola opera letteraria avrebbe scelto la Saga degli Aubrey. Non avevo mai sentito nominare l'opera e l'autrice prima che mi fosse stato regalato questo libro per un compleanno, probabilmente all'epoca in cui questa edizione di Fazi Editore usciva in libreria, quattro anni fa.


Dopo averlo letto posso dire che se dovessi scegliere un solo libro da portarmi su un isola deserta, mi porterei qualcos'altro (difficile scegliere cosa, forse I tre moschettieri, più probabilmente pretenderei di aumentare il numero di opere concesse, ma sicuramente non questo).

Non fraintendiamoci, non è la cosa peggiore che abbia letto e alcuni pregi questo romanzo li ha, ma non è neppure la migliore.

Si tratta della storia di una famiglia britannica (la madre scozzese, ex virtuosa del piano, il padre irlandese, scrittore, giornalista, filosofo-politico, giocatore d'azzardo e chissà che altro) borghese che finisce però in miseria ma tenta di vivere il più dignitosamente possibile (a dire il vero la madre tenta, il padre cerca in ogni modo di fare l'opposto). Si trasferiscono nella Londra di inizio Novecento coi quattro figli: in ordine di età Cordelia, che secondo madre e sorelle non è alla loro altezza a livello musicale, le gemelle Mary e Rose, la narratrice, che al contrario avrebbero ereditato il talento della madre, e il piccolo Richard Quinn, cocco della famiglia, stucchevolmente definito come il più adorabile e talentuoso figlio mai messo al mondo. Nel corso del romanzo li seguiremo nel corso della loro crescita e formazione come individui che cercano di affermarsi (in particolare le tre sorelle nel campo della musica), in mezzo a sconvolgimenti familiari e vicende e personaggi fuori dal comune che s'intrecciano alla loro storia.

Cos'ho contro questo libro? 

I personaggi sono di un'antipatia rara. Più o meno lo sono tutti, antipatici. Si comportano spesso in modo privo di senso (a volte è colpa della scrittura, per cui in quell'ottocentesco sottacere e sottintendere cose che non si possono dire apertamente per senso morale, si finisce per non avere chiaro di cosa si parla), ma soprattutto i membri della famiglia (specie la madre e le gemelle e più in particolare la narratrice) sono supponenti e, allo stesso tempo, stolidi.
L'origine della miseria di questa famiglia è il padre, che perde in speculazioni finanziare e anche al gioco tutto quello che guadagna, facendosi allontanare da molti datori di lavoro, finché non è assunto a (non) dirigere un giornale da un misterioso signor Morpurgo, che non ha nessun motivo valido (quantomeno al lettore non è noto) per accollarsi questo individuo ritenuto da tutti geniale, ma anche autolesionista (è capriccioso nel lavoro, incostante nella produzione, fa solo quello che gli va, deve essere sostituito da altri in certe funzioni, etc). E soprattutto è chiaro che non gli importa assolutamente niente di come campi la sua famiglia: non si cura del loro tenore di vita, di fornirgli denaro per pagare affitto, bollette e viveri (per non parlare di vestiti e altro, così che moglie e figli debbano sempre vestire sciattamente e con abiti logori, se non proprio bucati). Addirittura, viscidamente, lascia che sia la moglie a trattare coi creditori, fuggendo al momento opportuno. E non pago si fa riferimento anche a suoi tradimenti.

Non bastasse un uomo così orrido, urta ancora di più il fatto che la sua famiglia lo adori.
La moglie, povera anima, sembra fuori di testa e la compiango. I figli provano in qualche rara occasione a farle vedere la realtà, quanto sia riprovevole il comportamento del padre, il suo abbandono del compito di provvedere loro, ma la donna è cieca e tenacemente attaccata all'immagine di perfezione di quest'uomo, al suo amore per lui e, forse, anche un po' al suo martirio. Nondimeno, nella sua sgangherataggine, si dimostra molto più forte dell'odioso marito: riesce in qualche modo a istruire le figlie, a farle diventare musiciste, tenta di proteggerle dal mondo esterno e dalla mancanza di avvedutezza del padre, affronta gli eventi che le sono buttati addosso, barcollando, ma restando in piedi.

Per quanto riguarda le figlie, le gemelle e soprattutto Rose sono detestabili: si sentono superiori alla sorella Cordelia e ci litigano di continuo, accusandola di non vedere il mondo coi loro stessi occhi. Ma i loro occhi hanno, per l'appunto, una visione parziale e testarda: si considerano le uniche musiciste di talento della famiglia e adorano la loro vita miseranda così com'è, venerando quel padre che antepone loro i suoi interessi e i suoi vizi. Inoltre in qualche passaggio sono descritte come emarginate. Rose in particolare non sembra una bambina completamente normale e a me ricorda tantissimo il personaggio di Mary in Abbiamo sempre vissuto nel castello.
Di contro, Cordelia, che le sorelle emarginano, sembra l'unica con del sale in zucca: è l'unica che vede la loro condizione per come è davvero, l'unica che cerca di migliorarla andando a suonare il violino in concertini per guadagnarsi qualcosa (contro la volontà della madre, cieca anche alla loro costante necessità di denaro, che continua a ritenerla incapace, nonostante alcuni l'apprezzino al punto di pagarle gli ingaggi).

Avevo aspettato che mi passasse la rabbia nei confronti di questi personaggi prima di scrivere la recensione, ma a distanza di due mesi, raccontandone le vicende, emerge subito di nuovo. Sono quasi reali da quanto sono ben descritti e hanno il merito di smuovere una reazione nel lettore, ma non sono certa che fosse quella voluta (lo era?): li avrei presi a schiaffi tutti, il marito perché ripugnante, il resto della famiglia per la loro ottusità estrema. Passo solo Cordelia, che pare l'unico essere normale.

Cosa salvo dunque?

La narrazione: è proprio ben scritto. Le vicende coinvolgono abbastanza e, malgrado i personaggi tenessero accesa la mia antipatia e malgrado il malloppo da 570 pagine, l'ho letto agevolmente e in fretta, anche per sbarazzarmi di loro il prima possibile. Non mi basta, però, per decidere di proseguire con gli altri due libri della saga: Nel cuore della notte e, incompleto, Rosamund.

Cosa mi è piaciuto: è scritto molto bene, coinvolgente

Cosa non mi è piaciuto: personaggi antipatici (i più antipatici mai letti), supponenti, stolidi

Giudizio: ⭐⭐ 1/2

lunedì 3 ottobre 2022

Il più grande successo di Joel Dicker: la verità sul caso Harry Quebert

 A distanza di dieci anni dall'uscita in libreria di questo caso editoriale, in Italia edito da Bompiani, ne ho recuperata una copia usata e ho posto rimedio alla mia lacuna. 

Si tratta di un romanzo di 784 pagine, divorate in circa due settimane, che è un misto tra giallo e thriller, senza, secondo me, essere davvero nessuno dei due: troppa poca suspense per essere proprio un thriller e non ha la vera struttura e il finale del giallo classico (anzi, è una di quelle conclusioni che fanno un po' arrabbiare il lettore di gialli consumato). So di non essere una risolutrice acutissima di gialli, ma mi piacerebbe sapere quanti hanno indovinato questa conclusione, poiché trovo che gli elementi cardine si scoprano solo alla fine (ma magari mi sbaglio io ed erano dipinti in grande, ma non me ne ero accorta).

Il libro verte sul caso Nola Kellergan (di solito il caso porta il nome della vittima, non del suo presunto carnefice), quindicenne scomparsa trentatré anni prima che i suoi resti fossero rinvenuti nel giardino dello scrittore di fama mondiale e maestro di vita del narratore, Harry Quebert, che per l'appunto con la defunta ha avuto una folgorante storia d'amore della durata di un'estate. Il narratore, Marcus Goldman, è a sua volta uno scrittore, che ha avuto un acclamato debutto col primo libro, ma per il secondo subisce un blocco artistico, che lo spinge a rimettersi in contatto col suo insegnante di università, che è accusato, al momento del rinvenimento del cadavere, di aver assassinato Nola. Goldman, convinto dell'innocenza del suo mentore, cerca di scavare con ogni mezzo per arrivare alla verità, tra personaggi a tratti ostili, a tratti amichevoli, che nascondono segreti da oltre trent'anni.

Devo dire che arrivavo con aspettative altissime a questa lettura, visto quanto se ne era parlato (osannandolo) e dopo la mia precedente lettura de L'enigma della camera 622, che mi era piaciuto molto.

La mia onesta impressione, invece, soprattutto all'inizio della lettura (e con inizio intendo la prima metà, anche anche) è che, forse, essendo stato scritto otto anni prima, non poteva esserci la stessa maturità. Non che si leggesse meno bene, anzi, scorre molto velocemente. Ma la mia volontà di andare spedita non era inizialmente dovuta all'intrigo che generava, bensì alla scadenza che mi ero imposta per poi passare alle letture successive.

Due i principali difetti che gli trovo, il primo più grave del secondo.

1) I personaggi al centro della vicenda sono antipatici

Nola e Harry sono poco meno che odiosi e, peggio, la loro relazione dà il voltastomaco da quanto è banalizzata alla massima potenza. Ogni frase fra i due gronda pochezza e insulsaggine. Nola è piagnucolosa e debole, quindi alcune delle azioni che fa stonano poi moltissimo con queste caratteristiche di base. E non è sfaccettata, sono proprio cose opposte incollate assieme. Forse per l'età è anche un po' sciocca e il discorso che fa a un certo punto su cosa vuole nella vita è quanto di più maschilista si possa concepire. Si potrebbe obiettare che è il personaggio e non l'autore, ma nessuna posizione successiva indica un pensiero diverso, anzi la ragazza viene idealizzata come desiderabile modello di perfezione. Harry è indeciso e salta da una decisione a quella opposta con facilità estrema. Goldman è la sua fotocopia. Entrambi un po' arroganti e saccenti. Soprattutto all'inizio il narratore è il personaggio più antipatico sulla pagina. 

Va un pochino meglio coi personaggi secondari, che però in certi momenti sono stereotipati. Personaggio preferito: Robert Quinn.

2) La ripetitività 

Alcuni eventi della narrazione sono ripetuti e rivissuti in più modi: raccontati a Goldman dal diretto interessato, poi la scena è raccontata in terza persona, poi gli eventi sono ri-commentati con altri. In certi momenti brani interi si ritrovano in punti diversi del romanzo. E ci credo che poi si arriva a quasi 800 pagine.

I lati positivi restano la buona scorrevolezza della prosa, ma all'inizio stenta ad appassionare appunto, e il modo con cui è congegnato l'intreccio. Molti fili restano allentati fino in fondo, ma non sono dimenticati, li si vede (molte cose sono prevedibilissime) e Dicker non li dimentica per strada. Aspetta solo la fine per tirarli tutti insieme e far tornare tutto. L'andamento lo raffigurerei davvero come un corsetto: allentato, largo in cima e poi serrato alla fine.

La parte che mi è piaciuta di più è decisamente la terza, quando saltano fuori una serie di colpi di scena che ribaltano tutte le prospettive e mettono molto sapore alla vicenda, cambiando anche completamente ritmo.

Cosa mi è piaciuto: scorrevolezza, intreccio ben congegnato

Cosa non mi è piaciuto: personaggi primari da schiaffi, ripetitivo e quasi lento in certi punti, stenta ad appassionare e resta comunque molto al di sotto delle mie aspettative

Giudizio: ⭐⭐⭐