martedì 18 ottobre 2022

Estate delle saghe familiari (parte 3): gli Aubrey

Vado oggi a raccontare un libro di Rebecca West che è tornato in auge negli ultimi anni grazie a una nuova edizione e alla buona pubblicità che gli ha fornito Alessandro Baricco, quando in un'intervista sostenne che se avesse dovuto portare con sé su un'isola deserta una sola opera letteraria avrebbe scelto la Saga degli Aubrey. Non avevo mai sentito nominare l'opera e l'autrice prima che mi fosse stato regalato questo libro per un compleanno, probabilmente all'epoca in cui questa edizione di Fazi Editore usciva in libreria, quattro anni fa.


Dopo averlo letto posso dire che se dovessi scegliere un solo libro da portarmi su un isola deserta, mi porterei qualcos'altro (difficile scegliere cosa, forse I tre moschettieri, più probabilmente pretenderei di aumentare il numero di opere concesse, ma sicuramente non questo).

Non fraintendiamoci, non è la cosa peggiore che abbia letto e alcuni pregi questo romanzo li ha, ma non è neppure la migliore.

Si tratta della storia di una famiglia britannica (la madre scozzese, ex virtuosa del piano, il padre irlandese, scrittore, giornalista, filosofo-politico, giocatore d'azzardo e chissà che altro) borghese che finisce però in miseria ma tenta di vivere il più dignitosamente possibile (a dire il vero la madre tenta, il padre cerca in ogni modo di fare l'opposto). Si trasferiscono nella Londra di inizio Novecento coi quattro figli: in ordine di età Cordelia, che secondo madre e sorelle non è alla loro altezza a livello musicale, le gemelle Mary e Rose, la narratrice, che al contrario avrebbero ereditato il talento della madre, e il piccolo Richard Quinn, cocco della famiglia, stucchevolmente definito come il più adorabile e talentuoso figlio mai messo al mondo. Nel corso del romanzo li seguiremo nel corso della loro crescita e formazione come individui che cercano di affermarsi (in particolare le tre sorelle nel campo della musica), in mezzo a sconvolgimenti familiari e vicende e personaggi fuori dal comune che s'intrecciano alla loro storia.

Cos'ho contro questo libro? 

I personaggi sono di un'antipatia rara. Più o meno lo sono tutti, antipatici. Si comportano spesso in modo privo di senso (a volte è colpa della scrittura, per cui in quell'ottocentesco sottacere e sottintendere cose che non si possono dire apertamente per senso morale, si finisce per non avere chiaro di cosa si parla), ma soprattutto i membri della famiglia (specie la madre e le gemelle e più in particolare la narratrice) sono supponenti e, allo stesso tempo, stolidi.
L'origine della miseria di questa famiglia è il padre, che perde in speculazioni finanziare e anche al gioco tutto quello che guadagna, facendosi allontanare da molti datori di lavoro, finché non è assunto a (non) dirigere un giornale da un misterioso signor Morpurgo, che non ha nessun motivo valido (quantomeno al lettore non è noto) per accollarsi questo individuo ritenuto da tutti geniale, ma anche autolesionista (è capriccioso nel lavoro, incostante nella produzione, fa solo quello che gli va, deve essere sostituito da altri in certe funzioni, etc). E soprattutto è chiaro che non gli importa assolutamente niente di come campi la sua famiglia: non si cura del loro tenore di vita, di fornirgli denaro per pagare affitto, bollette e viveri (per non parlare di vestiti e altro, così che moglie e figli debbano sempre vestire sciattamente e con abiti logori, se non proprio bucati). Addirittura, viscidamente, lascia che sia la moglie a trattare coi creditori, fuggendo al momento opportuno. E non pago si fa riferimento anche a suoi tradimenti.

Non bastasse un uomo così orrido, urta ancora di più il fatto che la sua famiglia lo adori.
La moglie, povera anima, sembra fuori di testa e la compiango. I figli provano in qualche rara occasione a farle vedere la realtà, quanto sia riprovevole il comportamento del padre, il suo abbandono del compito di provvedere loro, ma la donna è cieca e tenacemente attaccata all'immagine di perfezione di quest'uomo, al suo amore per lui e, forse, anche un po' al suo martirio. Nondimeno, nella sua sgangherataggine, si dimostra molto più forte dell'odioso marito: riesce in qualche modo a istruire le figlie, a farle diventare musiciste, tenta di proteggerle dal mondo esterno e dalla mancanza di avvedutezza del padre, affronta gli eventi che le sono buttati addosso, barcollando, ma restando in piedi.

Per quanto riguarda le figlie, le gemelle e soprattutto Rose sono detestabili: si sentono superiori alla sorella Cordelia e ci litigano di continuo, accusandola di non vedere il mondo coi loro stessi occhi. Ma i loro occhi hanno, per l'appunto, una visione parziale e testarda: si considerano le uniche musiciste di talento della famiglia e adorano la loro vita miseranda così com'è, venerando quel padre che antepone loro i suoi interessi e i suoi vizi. Inoltre in qualche passaggio sono descritte come emarginate. Rose in particolare non sembra una bambina completamente normale e a me ricorda tantissimo il personaggio di Mary in Abbiamo sempre vissuto nel castello.
Di contro, Cordelia, che le sorelle emarginano, sembra l'unica con del sale in zucca: è l'unica che vede la loro condizione per come è davvero, l'unica che cerca di migliorarla andando a suonare il violino in concertini per guadagnarsi qualcosa (contro la volontà della madre, cieca anche alla loro costante necessità di denaro, che continua a ritenerla incapace, nonostante alcuni l'apprezzino al punto di pagarle gli ingaggi).

Avevo aspettato che mi passasse la rabbia nei confronti di questi personaggi prima di scrivere la recensione, ma a distanza di due mesi, raccontandone le vicende, emerge subito di nuovo. Sono quasi reali da quanto sono ben descritti e hanno il merito di smuovere una reazione nel lettore, ma non sono certa che fosse quella voluta (lo era?): li avrei presi a schiaffi tutti, il marito perché ripugnante, il resto della famiglia per la loro ottusità estrema. Passo solo Cordelia, che pare l'unico essere normale.

Cosa salvo dunque?

La narrazione: è proprio ben scritto. Le vicende coinvolgono abbastanza e, malgrado i personaggi tenessero accesa la mia antipatia e malgrado il malloppo da 570 pagine, l'ho letto agevolmente e in fretta, anche per sbarazzarmi di loro il prima possibile. Non mi basta, però, per decidere di proseguire con gli altri due libri della saga: Nel cuore della notte e, incompleto, Rosamund.

Cosa mi è piaciuto: è scritto molto bene, coinvolgente

Cosa non mi è piaciuto: personaggi antipatici (i più antipatici mai letti), supponenti, stolidi

Giudizio: ⭐⭐ 1/2

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