martedì 29 luglio 2025

Io e Don Chisciotte: non è stato amore a prima lettura

 Recensire Don Chisciotte non è possibile: non basta un articolo di un blog o un post su Instagram per riuscire a dire qualcosa di sensato su un'opera immortale che ha conquistato il cuore di migliaia di lettori nei secoli...

...ma non il mio.


Mi limiterò, allora, a schizzare poche immagini personali, poche idee mie che ho su questo romanzo (quasi poema cavalleresco) nel tentativo di descrivere cos'è stata quest'opera e questo personaggio per me.

Ero affascinata dalla figura di Chisciana, che si cambia nome in Don Chisciotte, per averne sentito parlare e averlo visto raffigurare in tutti i media possibili, dai cartoni animati alle canzoni di Guccini, ma mi ero procurata una copia usata in due volumi (un'edizione Mondadori del 1971 con la traduzione di Ferdinando Carlesi del 1934, 1526 pag) soltanto un paio d'anni fa.

𝅗𝅥Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza. 

Il gentiluomo della Mancia Chisciana, avido lettore di imprese cavalleresche, un giorno se ne esce col voler diventare a sua volta cavaliere errante per vivere avventure nobili e diventare paladino delle misere cause. Si arma e parte una prima volta, comincia a combinare i primi guai, non essendo mai in grado di leggere una situazione con lenti pratiche e contemporanee, ma solo con quelle poetiche delle gesta dei suoi eroi; ne prende di santa ragione e torna a casa. 

Per non far disperare solo la propria nipote, gli amici e la governante, a questo punto riesce a coinvolgere nella sua pazzia un altro poveretto, Sancho Panza, contadino che ha moglie e figli, convincendolo a servire per lui da scudiero finché non sarà in grado di farlo governatore di un feudo e ricco: è in questo modo che nasce il duo in grado di far funzionare tutte le avventure scritte dall'ex militare Miguel de Cervantes (1547-1616), un duo che si bilancia perfettamente e che esalta pregi e difetti di entrambi.

Le prime storie escono nel 1605 sotto il nome di El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha e narrano le gesta che l'autore avrebbe tradotto dai fantomatici manoscritti arabi di tale Cide Hamete Benengeli. Queste prime avventure della nostra coppia di erranti romantici rottami sono molto simili: Quijote scambia qualcosa per qualcosa che non è (pecore per mori, mulini a vento per giganti, statue della Madonna portata in processione per una dama rapita, di nuovo marionette per mori...) e le busca oppure commette torti nei confronti di qualcuno (libera dei galeotti, non paga agli osti il compenso perché si crede ospite in castelli di amici e così via...). In questa parte le avventure, dapprima itineranti, convergono poi verso un intreccio unico e con molti personaggi, con il dipanarsi delle molte storie dentro un'osteria con riunioni, ritrovamenti (Carramba, che sorpresa!), riconciliazioni, riparazioni dei torti, in perfetto stile feuilleton, anche se è ancora troppo presto per il genere.

La seconda parte delle avventure del duo Chisciotte-Panza è pubblicato solo nel 1616, quasi a volersi riprendere il proprio personaggio, che nel 1614 era stato ri-raccontato da un tale Avellaneda nel libro Segundo tomo del ingenioso hidalgo Don Chisciotte de la Mancha. Nel testo ci sono diverse allusioni e, oserei dire, frecciatine a questo plagio.

Sottraendosi alle grinfie della nipote e della governante una terza volta ed eludendo la sorveglianza degli amici (tutte figure che si preoccupano e tentano di far rinsavire il protagonista - delizioso nel primo volume il rogo dei romanzi cavallereschi del nostro a opera del prete e del barbiere), Chisciotte e Sancho partono di nuovo, ma il tono delle avventure è cambiato e c'è persino qualche "retcon": il protagonista pare che non abbia mai visto Dulcinea, mentre nel primo volume pare che l'avesse almeno vista una manciata di volte, il finale muta drasticamente quanto sembrava essere alluso alla fine del primo volume... Stavolta i due sono soprattutto mira di prese in giro: sono diventati famosi e il nucleo principale del secondo tomo è incentrato sui due ospiti presso un castello di Duchi, che si tengono i due alla stregua di giullari a cui far fare ciò che desiderano, poiché credono tutto. L'amarezza, soprattutto su un finale che non mi è piaciuto e che ritratta tutto ciò che ho letto, in questa seconda parte è tanta.

La scrittura di Cervantes è parecchio ripetitiva e alterna alle avventure (tutte molto simili) e a parti divertenti (fra tutte la mia preferita in cui Don Chisciotte vuole emulare la pazzia di Orlando, progettando consciamente di fare capriole per amore di Dulcinea, chiedendo a Sancho di andare a raccontarle che per lei è diventato matto) i panegirici del protagonista, principalmente sulla vita cavalleresca. Personalmente confesso di aver fatto tanta fatica a leggerlo, ma non tanto per la scrittura (d'accordo aulica e arcaica in alcuni momenti), quanto perché mi pareva non arrivassimo mai da nessuna parte: sono una serie di avventure, per lo più slegate e senza sfondo, che si susseguono. Inoltre mi è mancato un dramma struggente legato alla figura di Quijote che mi ci facesse affezionare: la natura della sua follia è tragica, ma non il modo in cui la vive e quindi le tinte dell'opera sono più leggere, comiche e picaresche che non drammatiche. In buona sostanza mi sono annoiata spesso.

- Sancio, io voglio almeno, perché è assolutamente necessario, che tu mi vegga tutto nudo fare una o due dozzine di pazzie. Sta' tranquillo: le farò in meno di mezz'ora. Così, avendole viste coi tuoi occhi, tu potrai in coscienza garantire con giuramento delle altre che ti piacerà d'aggiungere; e ti assicuro che tu non arriverai a dirne tante quante ne voglio fare.

- Per l'amor di Dio, signor padrone, la non si faccia vedere gnudo davanti a me, perché la mi farebbe troppa compassione, e non potrei fare a meno di piangere [...]. Se la vuole proprio che io vegga qualche pazzia, le faccia vestito, corte e di quelle che gli restan più alla mano. [...]

- Aspetta che te la faccio in un fiat.

E levatisi in quattro e quattro otto i calzoni, rimase in camicia, e subito, senza tanti discorsi, fece un bel paio di capriole; e sgambettando per aria con la testa in basso, mise allo scoperto cose, che, per non vederle un'altra volta, Sancio voltò Ronzinante, e si tenne soddisfatto e contento di poter giurare senza scrupoli che il suo padrone era matto.

E i due personaggi?

Ecco, Don Quijote e Sancho Panza sono senza dubbio il motivo per cui quest'opera ha passato la prova del tempo: Chisciotte è un ingenuo, un credulone, puro di cuore e confonde ogni personaggio che lo incontra, dato che parla come un professore, ma le sue azioni sono quelle di un pazzo. Ci puoi ragionare come se fosse un savio, ma a un certo punto scambia lucciole per lanterne e commette le più insulse imprudenze, senza mai pensare alle conseguenze. Si fa portatore dei valori e dell'amore cavalleresco (scambiando la contadina Aldonza per una principessa, che lui decide di chiamare Dulcinea del Toboso, così come ribattezza il povero ronzino di casa in Ronzinante, convinto di avergli dato un nome epico) e a questi si vota ciecamente. Sono buone le intenzioni che lo animano, ma fraintende costantemente la realtà. 

Sancho Panza è ancora più particolare e dotato di una doppia anima e una doppia morale: da una parte è un credulone, un bonaccione, dall'altro è scaltro e per interesse non esita a scegliere l'opportunità migliore; allo stesso tempo è naturalmente portatore di buon senso e di una saggezza popolare (diversa da quella che ha il padrone e che gli deriva dalla cultura), eppure abbocca all'amo di Quijote, poiché desideroso di profitto, tanto che a volte sorprende la moglie con idee totalmente aliene dalla loro precedente vita, del tutto contagiato dai sogni del padrone. Ci sono momenti in cui potrebbe essere un truffatore, capace di accaparrarsi un bottino, ma è quasi sempre il sogno del governatorato a truffare lui. Si affeziona al padrone, è pronto ad accudirlo, cercando di consigliarlo per il suo o per il proprio meglio, e da un certo punto in poi anche alla vita che conduce con lui, tanto da preferire rinunciare alle proprie idee per una vita che apprezza appieno, sebbene all'inizio fosse eccessivamente faticosa e priva di attrattive.

Giudizio: ⭐⭐⭐

giovedì 17 luglio 2025

Nuvole Barocche: il duo Paolacci e Ronco esordisce con la prima indagine di Paolo Nigra

 Qualche settimana fa mi ero cimentata nello stroncare la raccolta di racconti gialli Mondadori per l'estate 2024 (E cosy sia).

All'interno di quel volume, tuttavia, qualcosa da salvare lo avevo trovato e, in particolar modo, due scritti avevano "bucato la pagina", rimanendomi impressi: uno era il racconto di Patrizia Rinaldi, autrice che si occupa principalmente di letteratura per ragazzi, ma anche creatrice del personaggio di Blanca Occhiuzzi, diventato protagonista di una serie poliziesca Rai nel 2021 e 2023 (ovviamente denominata Blanca perché le donne perdono sempre il diritto a essere identificate con il cognome...riferimento puramente casuale a Vanina...).

Il secondo racconto che mi era davvero piaciuto è Vertigine, scritto da Antonio Paolacci e Paola Ronco, con protagonista il vicequestore aggiunto Paolo Nigra.

Antonio Paolacci aveva già scritto indipendentemente cinque libri e Paola Ronco due romanzi, di cui un giallo. Lavorano per lo stesso editore, si conoscono, si innamorano e finiscono per dare vita, a quattro mani, alla saga di Paolo Nigra, che ha all'attivo quattro capitoli principali, usciti nel 2019, 2020, 2022 e 2024.

Colpita da Vertigine, riferimento volutissimo a Vertigo di Hitchcock (La donna che visse due volte), girato in parte nell'hotel di Genova a cui si è ispirato anche il racconto, il Bristol, che ha uno scalone ellittico stupendo e molto noto, ho deciso di provare anche a leggere il primo dei quattro episodi della saga di questi due autori.


Meno di un'ora dopo, il cielo sopra Genova era magnifico; nuvole barocche si rincorrevano lontane, verso l'orizzonte, svelando un azzurro totale. Un vento frizzante, poco adatto alla fine di aprile, increspava appena il mare scuro.

Nuvole Barocche (Piemme, 333 pagine) non è un romanzo d'esordio: Paolo Nigra lavora già a Genova, è già stato promosso vicequestore aggiunto e a quel punto decide che non ha più niente da perdere e fa coming out. Anche la sua relazione a distanza è già avviata e felice con l'attore Rocco, napoletano e bellissimo, che invece non ha raggiunto il successo e teme di non arrivarci mai se dovesse imitare il compagno.

Abbastanza presto siamo catapultati sia nell'indagine, sia nel mondo di Nigra: le dinamiche di ufficio (alleati e avversari), l'amica Sarah che abita al piano di sopra, le manie del vicequestore torinese che a Genova si sente un po' stretto.

La trama mistery ha al centro una tematica ben precisa: un ragazzo giovanissimo è ritrovato in fin di vita al porto, con un cappotto rosa e dopo che la notte precedente aveva partecipato a una festa a sostegno delle unioni civili. Lo zio del ragazzo, che ha una storia familiare particolare, conferma gli ambienti frequentati dal nipote e la sua contrarietà al riguardo. Le linee d'indagine non sono molte, ma sono sviluppate in modo classico e il lettore attento ha a disposizione gli stessi indizi per la risoluzione del caso che ha anche il vicequestore. Qualcosa, forse, è anche troppo semplice da capire. Considerando quel (onestamente poco) che conosco nel panorama giallo italiano, devo dire che questo romanzo spicca per il rispetto del genere (che non è pochissimo).

Tra i temi emergono la discriminazione (soprattutto di certi ambienti per i gruppi LGBTQ+), la diffidenza, più o meno giustificata, nei confronti delle forze dell'ordine e, ovviamente, visto l'ambientazione, si parla anche di quello che successe nel 2001. Devo dire che un pochino secondo me il modo con cui gli autori hanno affrontato tutto questo è un po' forzato, quasi banale, manieristico.

La scrittura è stata piacevole da leggere, scorrevole e in certi momenti davvero buona, con descrizioni anche paesaggistiche niente male. I personaggi, invece, come ogni primo capitolo di una serie nuova pagano un po' lo scotto del doverli introdurre per la prima volta e un filino risultano stereotipati, ma spero che nei romanzi successivi possano muoversi meglio nella storia, meno inteccheriti nel loro ruolo, come del resto mi era perso durante la lettura di Vertigine. Sono anche molti e prenderci confidenza non è immediato

Giudizio: mi è piaciuto, ma speravo di più. ⭐⭐⭐ 1/2

giovedì 10 luglio 2025

Il mio primo Coliandro

 Carlo Lucarelli tra romanzi, racconti, saggi e molto altro ha scritto davvero di tutto nel panorama giallo e thriller di questa nazione. Tra le sue serie più celebri ci sono quelle del Commissario De Luca (di cui ho letto Carta bianca e L'estate torbida), del Commissario Marino del celebre Indagine non autorizzata, che ancora non ho letto, dell'ispettrice Grazia Negro (di cui ho letto Lupo mannaro, Almost Blue, Un giorno dopo l'altro, Acqua in bocca). Non avevo ancora letto niente neanche dell'ispettore Coliandro, su cui erano uscite storie a fumetti e una fortunata serie tv sulla Rai tra il 2006 e il 2021, diretta dai Manetti Bros. e con protagonista Gianpaolo Morelli. Lucarelli stesso racconta nelle interviste che Marco Coliandro non ha fan, ma ultrà.


Con la volontà di leggere almeno un romanzo del mio idolo per ogni saga, mi ero presa questo libricino brevissimo (Einaudi, 165 pag) usato per pochi euro, ma non avevo trovato la voglia di leggerlo per un po' e anche l'avvio della storia non mi stava convincendo. Eppure...

Eppure Lucarelli è stato bravissimo a tratteggiare, a farmi capire piano piano chi fosse Coliandro: non solo un povero cretino, ma un personaggio più complesso, meno immediato e non scontato. Non sa trasmettere certi suoi lati all'esterno: è goffo, grezzo, superficiale, mediocre, egocentrico, menefreghista, ma ha anche qualcosa di buono nel fondo, quasi un'onestà fanciullesca che stride tantissimo col resto della sua personalità e persino una certa empatia, la capacità di leggere gli altri e, a volte, affezionarsi.

Per esempio si affeziona a Nikita: gli si presenta davanti (la prima volta Coliandro appare in un racconto che si intitola proprio Nikita) quando è stato declassato alla Narcotici. Ha scoperto qualcosa facendo la pony express e non sa a chi rivolgersi. Becca l'unico poliziotto che non sa neanche lui come si fa a barcamenarsi in un'indagine, figuriamoci se c'entra la criminalità organizzata nella Bologna degli anni Novanta tra spaccio, ambienti universitari e altri più sordidi.

Non solo i personaggi sa descrivere con pochi tratti Lucarelli, ma è anche capace di restituire una certa atmosfera, cinematograficamente. Ed è un film alla fine quello che mi si dipana davanti e mi ha davvero intrattenuta, rapita per le tre ore della domenica pomeriggio in cui l'ho divorato. Non mi stava piacendo all'inizio, con questo personaggio grigio e triste, e invece ho dovuto rivalutare storia e protagonista.

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2

Scoprire la fisica con Carlo Rovelli

 Carlo Rovelli è un fisico teorico che si occupa anche di divulgazione: far comprendere la fisica a chi non è del settore, probabilmente, è una delle cose più complesse che possano esistere, una sfida. Lui ci ha provato.


Nel 2014 esce per Adelphi (85 pagine) Sette brevi lezioni di fisica, ampliamento di alcuni articoli che il fisico aveva proposto come articoli per Il sole 24 ore. Ognuno di questi è dedicato a uno dei grandi temi affrontati dalla fisica nel Novecento: dalla struttura del cosmo e la sua origine a quali sono le particelle che compongono il tutto, per arrivare ai buchi neri e alla natura del tempo e del calore, ma, innanzitutto, la teoria della relatività di Einstein e la teoria dei quanti. Queste ultime due teorie hanno rivoluzionato la concezione della fisica classica e spiegato e predetto in modo nuovo il mondo. Una delle cose più interessanti in assoluto nel mondo della fisica è il dibattito fra queste due tesi, entrambe assolutamente verificabili, che concepiscono però ciò che spiegano in modo antitetico: deterministico la prima, probabilistico la seconda. Le due teorie si scontrano e pongono l'obiettivo alla fisica contemporanea di trovare una quadra che armonizzi i due estremi.

Infine, l'ultimo capitolo, totalmente filosofico, l'autore lo riserva a riflettere sul ruolo dell'uomo in questo quadro tratteggiato che espande il nostro orizzonte nell'universo, rimpicciolendo molto la nostra figura e importanza.

"Ci rendiamo conto che siamo pieni di pregiudizi e la nostra immagine intuitiva del mondo è parziale, parrocchiale, inadeguata."

Che cos'è di fatto Sette brevi lezioni di fisica? Per me è stato una sbirciatina in un mondo molto complesso e inarrivabile, un affresco, una panoramica del quadro generale che mi ha fatto capire la fisica di cosa si occupa a grandi linee. Non sono arrivata a cogliere tutto e non era questo l'obiettivo.

Rovelli scrive bene, è spiritoso persino, qualche volta più fumoso e filosofico, ma non si spinge mai nel linguaggio fisico o matematico e cerca pazientemente di rappresentare in modo comprensibile dei temi che solo le menti più geniali sono stati capace di padroneggiare (e a volte neppure loro).

Ho capito tutto? No. Ma delle idee meno vaghe di prima le ho e mi cimenterò presto anche nel saggio L'ordine del tempo del 2017, che ha ispirato l'omonimo film del 2023 di Liliana Cavani ed è stato tradotto anche in inglese (e l'audiolibro lo legge Benedict Cumberbatch!).

Giudizio: un viaggio affascinante ⭐⭐⭐⭐

Delitto all'ora del vespro: il primo romanzo della serie del canonico Clement del Reverendo Richard Coles

Delitto all'ora del vespro (Einaudi, 320 pagine) è un romanzo giallo scritto dall'inglesissimo Reverendo Richard Coles, che inaugura la serie con protagonista il canonico Daniel Clement.


Il nostro eroe è il pastore di Champton, piccolissimo borgo che non aveva altre preoccupazioni al di là dell'installare o meno delle toilette nella chiesa, finché sui banchi non viene rinvenuto un cadavere ed ecco che Daniel si ritrova a domandarsi cosa non ha capito dei suoi parrocchiani e a collaborare con la polizia.

Ogni pagina del romanzo è assolutamente inglese: i personaggi lo sono, lo è l'ambientazione e si ripetono citazioni e riferimenti che solo chi conosce bene la cultura britannica può cogliere.

I personaggi sono molti: la famiglia del canonico è ben rappresentata e caratterizzata (specialmente la madre Audrey), ma i sospetti sono veramente tanti, hanno poco spazio e questo non li rende memorabili. Spiccano un po' di più e sono più accuratamente descritti i membri della famiglia aristocratica locale.

La trama mistery si prende il suo spazio con colloqui con i sospettati e piste da seguire, ma la risoluzione finale potrebbe apparire come un'ispirata intuizione divina: l'indizio, in realtà, è visibile al momento della lettura, ma è molto ben nascosto dall'autore.

Il problema principale di questo libro, tuttavia, per me è il ritmo: il racconto procede lentamente, si perde in numerose divagazioni. La scrittura mi è piaciuta e, in generale la lettura è piacevole, ma il ritmo è un po' carente per un giallo.

Giudizio: ⭐⭐⭐

mercoledì 2 luglio 2025

Il primo romanzo della saga dei Florio

 I leoni di Sicilia di Stefania Auci (Nord, 448 pag), primo volume di una dilogia sulla famiglia dei Florio, che tra Ottocento e Novecento avviò un commercio fiorente in Sicilia, prima di spezie, poi di zolfo, tonno, marsala, mi ha completamente stregata.

Non mi capitava da tanto tempo e non so quale fattore ha giocato il ruolo più rilevante, vuoi la penna, vuoi le vicende, ma non riuscivo a staccare gli occhi dal libro e l'ho effettivamente divorato in una manciata di giorni.


1799, Bagnara Calabra: i due fratelli Florio, Paolo e Ignazio, sono marinai. Trasportano spezie insieme al cognato, ma il terremoto di quell'anno spinge Paolo a prendere una decisione che rimanda da tempo: spostarsi a Palermo, avviare una bottega di spezie, cercare una vita migliore in una città portuale. Sono restii suo fratello Ignazio e, soprattutto, sua moglie Giuseppina, con la quale ha un rapporto difficilissimo. Il matrimonio, forse, sarebbe stato più felice con l'altro fratello?

Il destino, tuttavia, abbatte le remore e i tre partono con la nipote orfana Vittoria e col piccolissimo Vincenzo, il figlio di Paolo e Giuseppina. A Palermo li aspetta una strada in salita: la diffidenza della città verso questi calabresi, la concorrenza più o meno sleale degli altri commercianti di spezie, ma i Florio riescono a costruirsi un nome e, persino, soprattutto con Vincenzo, un impero.

Questa saga è densissima: le vicende personali, i drammi, i conflitti si intrecciano ai fatti storici reali della famiglia, della città, del regno. Economia, politica, storie d'amore struggenti il tutto in una narrazione avvincente. Auci non scrive con una prosa poetica o ricercata, ma è una narratrice che sa come incantare, sa dove porre l'accento per rendere la storia di Giuseppina e Ignazio un amore impossibile e per esaltare il legame tra Vincenzo e Giulia. Una mestierante? Probabilmente non solo, perché la ricerca storica che ha condotto sulla famiglia più potente di Sicilia è stata ampia e accurata.

A me sono piaciuti proprio i drammi che coinvolgono i familiari: il rapporto di Giuseppina con i due fratelli, i loro non detti che provocano struggimento ed empatia; il rapporto di Vincenzo col padre, che però può vivere poco, con Benjamin Inghram (altro storico personaggio un po' tratteggiato nel romanzo e determinante come i Florio nell'economia dell'isola), ma soprattutto con lo zio, a cui si legherà moltissimo; la sua storia di crescita personale, professionale e, infine, le sua storia d'amore con Giulia, personaggio incredibile e affascinante.

Nell'autunno 2023 è uscita su Netflix (poi in chiaro su Rai 1 nel 2024) la serie tv tratta da questo primo romanzo, con protagonisti Michele Riondino (Vincenzo Florio) e Miriam Leone (Giulia Portalupi), diretti da Paolo Genovese. Non ho il coraggio di vederla, poiché temo che non sia all'altezza di quel che ho letto e non mi convince tanto questa scelta di cast.

Non mi resta che leggere L'inverno dei leoni, ma ho qualche remora anche a iniziare questo per timore che possa non essere bello e avvincente come il primo romanzo.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2

Fiabe floreali: esempi di indottrinamento ottocentesco sulle bambine

 Ne avevo sentito parlare come di un gioiellino.

Fiabe floreali di Luisa May Alcott (autrice del più noto Piccole Donne), in Italia uscito per Elliot (127 pagine), è una raccolta di fiabe sulla gentilezza...all'apparenza.


L'autrice sfrutta la narrazione a cornice per introdurre storie slegate tra loro: la regina delle fate raccoglie una sera accanto a sé creature del piccolo popolo e le invita, a turno, a raccontare qualcosa: poesie, filastrocche, racconti, popolati da creature che vivono in un piccolo mondo di feste, balli, fiori, buoni sentimenti, tutto descritto con dovizia di particolari, quasi l'impresa sembri così impossibile da voler far immergere il lettore in questa atmosfera.

Le storie sono tutte molto simili fra loro e legate da uno stesso filo: mostrare che con la gentilezza, la remissività, la sopportazione (le virtù cristiane perfette su una donna, no?) si ottengono sempre favori, pace e lieti fini, mentre alle creature (bambini, fate, etc...) che sono egoisti e prevaricatori toccano tristezze, miserie e ricerche o prove da superare per espiare i loro "cattivi" comportamenti. In uno dei racconti un personaggio riceve addirittura un fiore che fiorisce o appassisce a seconda dei comportamenti adottati.

Oltre a una narrazione prolissa, ripetitiva e stucchevole

"Allora la bambina smise di farsi domande, ma divenne più intenso il suo amore per gli Elfi dal cuore tenero che lasciavano la loro terra felice per rallegrare e confortare coloro che non avrebbero mai saputo quali mani li avevano vestiti e sfamati, quali cuori avevano donato loro un po' della propria gioia per riempire i loro di tanta felicità."

in realtà ciò che mi ha infastidito nella lettura, più della noia, è stato questo indottrinamento. Il target delle fiabe sulle fate sono chiaramente bambine, a cui stanno dicendo "comportatevi così se volete essere felici": la colomba, ormai quasi in punto di trapasso, che viene lodata per la sua sopportazione della malattia, per non essersi mai lamentata, perché è grata alle fate che l'hanno accudita; l'elfo Lanugine di Cardo al contrario è rimproverato perché, benché "vivace e galante [...] celava sotto il suo vivace mantello piccoli aculei di crudeltà ed egoismo". E ancora il bocciolo di rosa che tenta di afferrare la bellezza della lucciola viene punito dal Padre per l'ingratitudine per il proprio aspetto e rischia di morire, perché la superbia è descritta come un sentimento triste e "soltanto l'umiltà può donare felicità ai fiori e alle Fate".

Le bambine dell'epoca in cui scrive la Alcott dovevano incarnare tutte queste nobili virtù cristiane di remissività, abnegazione, essere graziose e silenziose, sorridenti, senza mai una richiesta o una lagna o una parola di biasimo o critica per chicchessia. La piccola Eva del racconto, infatti, alla richiesta della Regina delle Fate di quale dono vorrebbe ricevere, non può che chiedere di essere perfetta come il mondo la vuole: 

"cari piccoli Elfi, cosa posso chiedere a voi, che avete fatto tanto per rendermi felice, e mi avete insegnato tante cose buone e gentili, il ricordo delle quali non svanirà mai in me? Posso soltanto chiedervi il potere di essere pura e gentile come voi, tenera e amorevole coi deboli e i sofferenti, e instancabile nel compiere atti d'amore verso tutti."

Mi rendo conto che per l'epoca e per il pubblico a cui era rivolto (bambine e soprattutto madri che volevano le loro figliolette docili, dolci e pazienti) questo prodotto potesse funzionare a dovere, ma riproporlo oggi, che abbiamo valori totalmente diversi, è un'operazione azzardata e quasi insensata.

Giudizio: ⭐⭐