mercoledì 2 luglio 2025

Il primo romanzo della saga dei Florio

 I leoni di Sicilia di Stefania Auci (Nord, 448 pag), primo volume di una dilogia sulla famiglia dei Florio, che tra Ottocento e Novecento avviò un commercio fiorente in Sicilia, prima di spezie, poi di zolfo, tonno, marsala, mi ha completamente stregata.

Non mi capitava da tanto tempo e non so quale fattore ha giocato il ruolo più rilevante, vuoi la penna, vuoi le vicende, ma non riuscivo a staccare gli occhi dal libro e l'ho effettivamente divorato in una manciata di giorni.


1799, Bagnara Calabra: i due fratelli Florio, Paolo e Ignazio, sono marinai. Trasportano spezie insieme al cognato, ma il terremoto di quell'anno spinge Paolo a prendere una decisione che rimanda da tempo: spostarsi a Palermo, avviare una bottega di spezie, cercare una vita migliore in una città portuale. Sono restii suo fratello Ignazio e, soprattutto, sua moglie Giuseppina, con la quale ha un rapporto difficilissimo. Il matrimonio, forse, sarebbe stato più felice con l'altro fratello?

Il destino, tuttavia, abbatte le remore e i tre partono con la nipote orfana Vittoria e col piccolissimo Vincenzo, il figlio di Paolo e Giuseppina. A Palermo li aspetta una strada in salita: la diffidenza della città verso questi calabresi, la concorrenza più o meno sleale degli altri commercianti di spezie, ma i Florio riescono a costruirsi un nome e, persino, soprattutto con Vincenzo, un impero.

Questa saga è densissima: le vicende personali, i drammi, i conflitti si intrecciano ai fatti storici reali della famiglia, della città, del regno. Economia, politica, storie d'amore struggenti il tutto in una narrazione avvincente. Auci non scrive con una prosa poetica o ricercata, ma è una narratrice che sa come incantare, sa dove porre l'accento per rendere la storia di Giuseppina e Ignazio un amore impossibile e per esaltare il legame tra Vincenzo e Giulia. Una mestierante? Probabilmente non solo, perché la ricerca storica che ha condotto sulla famiglia più potente di Sicilia è stata ampia e accurata.

A me sono piaciuti proprio i drammi che coinvolgono i familiari: il rapporto di Giuseppina con i due fratelli, i loro non detti che provocano struggimento ed empatia; il rapporto di Vincenzo col padre, che però può vivere poco, con Benjamin Inghram (altro storico personaggio un po' tratteggiato nel romanzo e determinante come i Florio nell'economia dell'isola), ma soprattutto con lo zio, a cui si legherà moltissimo; la sua storia di crescita personale, professionale e, infine, le sua storia d'amore con Giulia, personaggio incredibile e affascinante.

Nell'autunno 2023 è uscita su Netflix (poi in chiaro su Rai 1 nel 2024) la serie tv tratta da questo primo romanzo, con protagonisti Michele Riondino (Vincenzo Florio) e Miriam Leone (Giulia Portalupi), diretti da Paolo Genovese. Non ho il coraggio di vederla, poiché temo che non sia all'altezza di quel che ho letto e non mi convince tanto questa scelta di cast.

Non mi resta che leggere L'inverno dei leoni, ma ho qualche remora anche a iniziare questo per timore che possa non essere bello e avvincente come il primo romanzo.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2

Fiabe floreali: esempi di indottrinamento ottocentesco sulle bambine

 Ne avevo sentito parlare come di un gioiellino.

Fiabe floreali di Luisa May Alcott (autrice del più noto Piccole Donne), in Italia uscito per Elliot (127 pagine), è una raccolta di fiabe sulla gentilezza...all'apparenza.


L'autrice sfrutta la narrazione a cornice per introdurre storie slegate tra loro: la regina delle fate raccoglie una sera accanto a sé creature del piccolo popolo e le invita, a turno, a raccontare qualcosa: poesie, filastrocche, racconti, popolati da creature che vivono in un piccolo mondo di feste, balli, fiori, buoni sentimenti, tutto descritto con dovizia di particolari, quasi l'impresa sembri così impossibile da voler far immergere il lettore in questa atmosfera.

Le storie sono tutte molto simili fra loro e legate da uno stesso filo: mostrare che con la gentilezza, la remissività, la sopportazione (le virtù cristiane perfette su una donna, no?) si ottengono sempre favori, pace e lieti fini, mentre alle creature (bambini, fate, etc...) che sono egoisti e prevaricatori toccano tristezze, miserie e ricerche o prove da superare per espiare i loro "cattivi" comportamenti. In uno dei racconti un personaggio riceve addirittura un fiore che fiorisce o appassisce a seconda dei comportamenti adottati.

Oltre a una narrazione prolissa, ripetitiva e stucchevole

"Allora la bambina smise di farsi domande, ma divenne più intenso il suo amore per gli Elfi dal cuore tenero che lasciavano la loro terra felice per rallegrare e confortare coloro che non avrebbero mai saputo quali mani li avevano vestiti e sfamati, quali cuori avevano donato loro un po' della propria gioia per riempire i loro di tanta felicità."

in realtà ciò che mi ha infastidito nella lettura, più della noia, è stato questo indottrinamento. Il target delle fiabe sulle fate sono chiaramente bambine, a cui stanno dicendo "comportatevi così se volete essere felici": la colomba, ormai quasi in punto di trapasso, che viene lodata per la sua sopportazione della malattia, per non essersi mai lamentata, perché è grata alle fate che l'hanno accudita; l'elfo Lanugine di Cardo al contrario è rimproverato perché, benché "vivace e galante [...] celava sotto il suo vivace mantello piccoli aculei di crudeltà ed egoismo". E ancora il bocciolo di rosa che tenta di afferrare la bellezza della lucciola viene punito dal Padre per l'ingratitudine per il proprio aspetto e rischia di morire, perché la superbia è descritta come un sentimento triste e "soltanto l'umiltà può donare felicità ai fiori e alle Fate".

Le bambine dell'epoca in cui scrive la Alcott dovevano incarnare tutte queste nobili virtù cristiane di remissività, abnegazione, essere graziose e silenziose, sorridenti, senza mai una richiesta o una lagna o una parola di biasimo o critica per chicchessia. La piccola Eva del racconto, infatti, alla richiesta della Regina delle Fate di quale dono vorrebbe ricevere, non può che chiedere di essere perfetta come il mondo la vuole: 

"cari piccoli Elfi, cosa posso chiedere a voi, che avete fatto tanto per rendermi felice, e mi avete insegnato tante cose buone e gentili, il ricordo delle quali non svanirà mai in me? Posso soltanto chiedervi il potere di essere pura e gentile come voi, tenera e amorevole coi deboli e i sofferenti, e instancabile nel compiere atti d'amore verso tutti."

Mi rendo conto che per l'epoca e per il pubblico a cui era rivolto (bambine e soprattutto madri che volevano le loro figliolette docili, dolci e pazienti) questo prodotto potesse funzionare a dovere, ma riproporlo oggi, che abbiamo valori totalmente diversi, è un'operazione azzardata e quasi insensata.

Giudizio: ⭐⭐