Ne avevo sentito parlare come di un gioiellino.
Fiabe floreali di Luisa May Alcott (autrice del più noto Piccole Donne), in Italia uscito per Elliot (127 pagine), è una raccolta di fiabe sulla gentilezza...all'apparenza.
L'autrice sfrutta la narrazione a cornice per introdurre storie slegate tra loro: la regina delle fate raccoglie una sera accanto a sé creature del piccolo popolo e le invita, a turno, a raccontare qualcosa: poesie, filastrocche, racconti, popolati da creature che vivono in un piccolo mondo di feste, balli, fiori, buoni sentimenti, tutto descritto con dovizia di particolari, quasi l'impresa sembri così impossibile da voler far immergere il lettore in questa atmosfera.
Le storie sono tutte molto simili fra loro e legate da uno stesso filo: mostrare che con la gentilezza, la remissività, la sopportazione (le virtù cristiane perfette su una donna, no?) si ottengono sempre favori, pace e lieti fini, mentre alle creature (bambini, fate, etc...) che sono egoisti e prevaricatori toccano tristezze, miserie e ricerche o prove da superare per espiare i loro "cattivi" comportamenti. In uno dei racconti un personaggio riceve addirittura un fiore che fiorisce o appassisce a seconda dei comportamenti adottati.
Oltre a una narrazione prolissa, ripetitiva e stucchevole,
"Allora la bambina smise di farsi domande, ma divenne più intenso il suo amore per gli Elfi dal cuore tenero che lasciavano la loro terra felice per rallegrare e confortare coloro che non avrebbero mai saputo quali mani li avevano vestiti e sfamati, quali cuori avevano donato loro un po' della propria gioia per riempire i loro di tanta felicità."
in realtà ciò che mi ha infastidito nella lettura, più della noia, è stato questo indottrinamento. Il target delle fiabe sulle fate sono chiaramente bambine, a cui stanno dicendo "comportatevi così se volete essere felici": la colomba, ormai quasi in punto di trapasso, che viene lodata per la sua sopportazione della malattia, per non essersi mai lamentata, perché è grata alle fate che l'hanno accudita; l'elfo Lanugine di Cardo al contrario è rimproverato perché, benché "vivace e galante [...] celava sotto il suo vivace mantello piccoli aculei di crudeltà ed egoismo". E ancora il bocciolo di rosa che tenta di afferrare la bellezza della lucciola viene punito dal Padre per l'ingratitudine per il proprio aspetto e rischia di morire, perché la superbia è descritta come un sentimento triste e "soltanto l'umiltà può donare felicità ai fiori e alle Fate".
Le bambine dell'epoca in cui scrive la Alcott dovevano incarnare tutte queste nobili virtù cristiane di remissività, abnegazione, essere graziose e silenziose, sorridenti, senza mai una richiesta o una lagna o una parola di biasimo o critica per chicchessia. La piccola Eva del racconto, infatti, alla richiesta della Regina delle Fate di quale dono vorrebbe ricevere, non può che chiedere di essere perfetta come il mondo la vuole:
"cari piccoli Elfi, cosa posso chiedere a voi, che avete fatto tanto per rendermi felice, e mi avete insegnato tante cose buone e gentili, il ricordo delle quali non svanirà mai in me? Posso soltanto chiedervi il potere di essere pura e gentile come voi, tenera e amorevole coi deboli e i sofferenti, e instancabile nel compiere atti d'amore verso tutti."
Mi rendo conto che per l'epoca e per il pubblico a cui era rivolto (bambine e soprattutto madri che volevano le loro figliolette docili, dolci e pazienti) questo prodotto potesse funzionare a dovere, ma riproporlo oggi, che abbiamo valori totalmente diversi, è un'operazione azzardata e quasi insensata.
Giudizio: ⭐⭐

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