Recensire Don Chisciotte non è possibile: non basta un articolo di un blog o un post su Instagram per riuscire a dire qualcosa di sensato su un'opera immortale che ha conquistato il cuore di migliaia di lettori nei secoli...
...ma non il mio.
Ero affascinata dalla figura di Chisciana, che si cambia nome in Don Chisciotte, per averne sentito parlare e averlo visto raffigurare in tutti i media possibili, dai cartoni animati alle canzoni di Guccini, ma mi ero procurata una copia usata in due volumi (un'edizione Mondadori del 1971 con la traduzione di Ferdinando Carlesi del 1934, 1526 pag) soltanto un paio d'anni fa.
𝅗𝅥Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotentiper starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanzacome un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza. ♪
Il gentiluomo della Mancia Chisciana, avido lettore di imprese cavalleresche, un giorno se ne esce col voler diventare a sua volta cavaliere errante per vivere avventure nobili e diventare paladino delle misere cause. Si arma e parte una prima volta, comincia a combinare i primi guai, non essendo mai in grado di leggere una situazione con lenti pratiche e contemporanee, ma solo con quelle poetiche delle gesta dei suoi eroi; ne prende di santa ragione e torna a casa.
Per non far disperare solo la propria nipote, gli amici e la governante, a questo punto riesce a coinvolgere nella sua pazzia un altro poveretto, Sancho Panza, contadino che ha moglie e figli, convincendolo a servire per lui da scudiero finché non sarà in grado di farlo governatore di un feudo e ricco: è in questo modo che nasce il duo in grado di far funzionare tutte le avventure scritte dall'ex militare Miguel de Cervantes (1547-1616), un duo che si bilancia perfettamente e che esalta pregi e difetti di entrambi.
Le prime storie escono nel 1605 sotto il nome di El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha e narrano le gesta che l'autore avrebbe tradotto dai fantomatici manoscritti arabi di tale Cide Hamete Benengeli. Queste prime avventure della nostra coppia di erranti romantici rottami sono molto simili: Quijote scambia qualcosa per qualcosa che non è (pecore per mori, mulini a vento per giganti, statue della Madonna portata in processione per una dama rapita, di nuovo marionette per mori...) e le busca oppure commette torti nei confronti di qualcuno (libera dei galeotti, non paga agli osti il compenso perché si crede ospite in castelli di amici e così via...). In questa parte le avventure, dapprima itineranti, convergono poi verso un intreccio unico e con molti personaggi, con il dipanarsi delle molte storie dentro un'osteria con riunioni, ritrovamenti (Carramba, che sorpresa!), riconciliazioni, riparazioni dei torti, in perfetto stile feuilleton, anche se è ancora troppo presto per il genere.
La seconda parte delle avventure del duo Chisciotte-Panza è pubblicato solo nel 1616, quasi a volersi riprendere il proprio personaggio, che nel 1614 era stato ri-raccontato da un tale Avellaneda nel libro Segundo tomo del ingenioso hidalgo Don Chisciotte de la Mancha. Nel testo ci sono diverse allusioni e, oserei dire, frecciatine a questo plagio.
Sottraendosi alle grinfie della nipote e della governante una terza volta ed eludendo la sorveglianza degli amici (tutte figure che si preoccupano e tentano di far rinsavire il protagonista - delizioso nel primo volume il rogo dei romanzi cavallereschi del nostro a opera del prete e del barbiere), Chisciotte e Sancho partono di nuovo, ma il tono delle avventure è cambiato e c'è persino qualche "retcon": il protagonista pare che non abbia mai visto Dulcinea, mentre nel primo volume pare che l'avesse almeno vista una manciata di volte, il finale muta drasticamente quanto sembrava essere alluso alla fine del primo volume... Stavolta i due sono soprattutto mira di prese in giro: sono diventati famosi e il nucleo principale del secondo tomo è incentrato sui due ospiti presso un castello di Duchi, che si tengono i due alla stregua di giullari a cui far fare ciò che desiderano, poiché credono tutto. L'amarezza, soprattutto su un finale che non mi è piaciuto e che ritratta tutto ciò che ho letto, in questa seconda parte è tanta.
La scrittura di Cervantes è parecchio ripetitiva e alterna alle avventure (tutte molto simili) e a parti divertenti (fra tutte la mia preferita in cui Don Chisciotte vuole emulare la pazzia di Orlando, progettando consciamente di fare capriole per amore di Dulcinea, chiedendo a Sancho di andare a raccontarle che per lei è diventato matto) i panegirici del protagonista, principalmente sulla vita cavalleresca. Personalmente confesso di aver fatto tanta fatica a leggerlo, ma non tanto per la scrittura (d'accordo aulica e arcaica in alcuni momenti), quanto perché mi pareva non arrivassimo mai da nessuna parte: sono una serie di avventure, per lo più slegate e senza sfondo, che si susseguono. Inoltre mi è mancato un dramma struggente legato alla figura di Quijote che mi ci facesse affezionare: la natura della sua follia è tragica, ma non il modo in cui la vive e quindi le tinte dell'opera sono più leggere, comiche e picaresche che non drammatiche. In buona sostanza mi sono annoiata spesso.
- Sancio, io voglio almeno, perché è assolutamente necessario, che tu mi vegga tutto nudo fare una o due dozzine di pazzie. Sta' tranquillo: le farò in meno di mezz'ora. Così, avendole viste coi tuoi occhi, tu potrai in coscienza garantire con giuramento delle altre che ti piacerà d'aggiungere; e ti assicuro che tu non arriverai a dirne tante quante ne voglio fare.
- Per l'amor di Dio, signor padrone, la non si faccia vedere gnudo davanti a me, perché la mi farebbe troppa compassione, e non potrei fare a meno di piangere [...]. Se la vuole proprio che io vegga qualche pazzia, le faccia vestito, corte e di quelle che gli restan più alla mano. [...]
- Aspetta che te la faccio in un fiat.
E levatisi in quattro e quattro otto i calzoni, rimase in camicia, e subito, senza tanti discorsi, fece un bel paio di capriole; e sgambettando per aria con la testa in basso, mise allo scoperto cose, che, per non vederle un'altra volta, Sancio voltò Ronzinante, e si tenne soddisfatto e contento di poter giurare senza scrupoli che il suo padrone era matto.
E i due personaggi?
Ecco, Don Quijote e Sancho Panza sono senza dubbio il motivo per cui quest'opera ha passato la prova del tempo: Chisciotte è un ingenuo, un credulone, puro di cuore e confonde ogni personaggio che lo incontra, dato che parla come un professore, ma le sue azioni sono quelle di un pazzo. Ci puoi ragionare come se fosse un savio, ma a un certo punto scambia lucciole per lanterne e commette le più insulse imprudenze, senza mai pensare alle conseguenze. Si fa portatore dei valori e dell'amore cavalleresco (scambiando la contadina Aldonza per una principessa, che lui decide di chiamare Dulcinea del Toboso, così come ribattezza il povero ronzino di casa in Ronzinante, convinto di avergli dato un nome epico) e a questi si vota ciecamente. Sono buone le intenzioni che lo animano, ma fraintende costantemente la realtà.
Sancho Panza è ancora più particolare e dotato di una doppia anima e una doppia morale: da una parte è un credulone, un bonaccione, dall'altro è scaltro e per interesse non esita a scegliere l'opportunità migliore; allo stesso tempo è naturalmente portatore di buon senso e di una saggezza popolare (diversa da quella che ha il padrone e che gli deriva dalla cultura), eppure abbocca all'amo di Quijote, poiché desideroso di profitto, tanto che a volte sorprende la moglie con idee totalmente aliene dalla loro precedente vita, del tutto contagiato dai sogni del padrone. Ci sono momenti in cui potrebbe essere un truffatore, capace di accaparrarsi un bottino, ma è quasi sempre il sogno del governatorato a truffare lui. Si affeziona al padrone, è pronto ad accudirlo, cercando di consigliarlo per il suo o per il proprio meglio, e da un certo punto in poi anche alla vita che conduce con lui, tanto da preferire rinunciare alle proprie idee per una vita che apprezza appieno, sebbene all'inizio fosse eccessivamente faticosa e priva di attrattive.
Giudizio: ⭐⭐⭐

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