lunedì 26 settembre 2022

Libri dagli anni '70: leprotti e bambine

Negli ultimi 4 giorni delle ferie agostane ho avuto il tempo di dedicarmi alla lettura di due libricini (un saggio e un romanzo cult dalle 190-200 pagine ciascuno) editi entrambi a metà degli anni '70.

Per quanto riguarda il romanzo, che è stato divertentissimo, non ho avvertito tanto la distanza temporale quanto la distanza geografica: si tratta infatti de L'anno della Lepre di Arto Paasilinna del 1975, ambientato tra i meravigliosi paesaggi naturalistici finlandesi. Nel libro sono tratteggiati alcuni spaccati di vita (i pescatori, gli allevatori di vacche, etc) culturalmente e socialmente propri della Finlandia di quel tempo, ma i rapporti tra le persone sono molto moderni. Il romanzo è un racconto a episodi sulla fuga di Kaarlo Vatanen, iniziata quasi per caso e decisa subitaneamente, dalla sua vita a Helsinki. Una vita fatta di un matrimonio finito e di un lavoro che non riconosceva più come suo. l giorno che il suo collega fotografo investe un leprotto, di ritorno da un servizio fatto assieme, Vatanen scende dalla macchina e non fa più ritorno a casa e al lavoro. Parte con la lepre in braccio e gira di avventura in avventura, ognuna più originale e divertente dell'altra, per la Finlandia. Il legame affettivo tra lepre e uomo mi è piaciuto molto. Anche quando non sembra Vatenen tiene molto all'animale e lo tiene sempre presente nella mente e nel cuore e anche la bestiola manifesta segni di legame e fiducia verso il padrone-compagno di vita. Ho temuto in più punti vibes alla Io e Marley, ma il finale mi è piaciuto moltissimo. È una lettura non impegnata, sebbene con qualche spunto di riflessione sull'ambiente e la società, e consigliatissima. Si legge facilmente e in pochi giorni, molto scorrevole.

Cosa mi è piaciuto: uno dei racconti più carini letti negli ultimi tempi, piacevole e leggero; Vatenen buon personaggio; finale delizioso.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2


Differentemente per quanto riguarda il saggio, che pure conteneva concetti a cui non ero estranea, sono rimasta sbalordita dalla distanza siderale della cultura ancora imperante nel mio paese appena 50 anni fa, negli anni in cui i miei genitori si sarebbero conosciuti e avrebbero poi deciso di allevarmi. Si tratta infatti del libro Dalla parte delle bambine della montessoriana Elena Gianini Belotti, che descrive gli stereotipi con cui si crescevano ai suoi giorni i bambini -e soprattutto le bambine- dall'ambiente familiare alla scuola, passando per la narrativa e i giochi concepiti per i bambini. Nulla di nuovo sotto il sole, apparentemente, per ciò che sappiamo oggi (quando sono andata alle scuole medie erano già gli anni 2000 e la mia professoressa di italiano era molto attenta a tutti i temi dell'uguaglianza e ci faceva leggere sull'argomento Extraterrestre alla pari, bel libro di Bianca Pitzorno, scritto comunque diciassette anni dopo il saggio della Belotti, che affrontava il modo ridicolo con cui si educavano maschi e femmine), senza dubbio illuminato e rivoluzionario per il 1973.
La lettura è stata molto scorrevole, il linguaggio è semplice, divulgativo. La mia sorpresa, forse non legittima e quasi imperdonabile, è stata leggere di comportamenti retrogradi e ingiustificati (diversa durata dell'allattamento!!! differenti età di pretesa dei bisognini nel vasino!!! per non parlare naturalmente della visione conosciutissima maschietto = potere e lavoro vs femminuccia = schiava reclusa in casa) che io credevo scomparsi almeno vent'anni prima. Gli anni Settanta sono un periodo che io non ho vissuto, ma che credevo più libero e istruito dopo i moti Sessantottini e in vista delle campagne che si terranno proprio in quel decennio per i diritti civili, soprattutto femminili. Il libro si colloca in quel contesto, in quell'aria di cambiamento che caratterizzerà quegli anni, ma è artefice di innovazione e ne sta a monte: sta ancora combattendo battaglie che saranno vinte (forse e mai del tutto) solo alcuni anni dopo. È stato illuminante e arricchente rendermi conto che anticipavo erroneamente la rivoluzione educativa e la davo per assodata negli anni Novanta, solo perché quando sono stata cresciuta non mi sono stati rivolti gli stessi metodi educativi repressivi destinati al sesso femminile, anzi sono cresciuta in una famiglia e in un gruppo sociale in cui ci si attendeva che io e mia sorella saremmo state istruite fino all'Università, come mio padre e sua madre prima di lui (addirittura negli anni Quaranta) e in cui ci veniva raccomandato di diventare adulte indipendenti economicamente e psicologicamente. Eppure ancora oggi si discute dell'educazione distinta per sesso e si deve litigare con chi propina "giochi da maschi e da femmine, colori adatti o meno" e devo rendermi conto che la mia famiglia è stata una fortunata eccezione e non la norma.

Riporto un paragrafo per dare un'idea dell'interesse dell'argomento e della scrittura semplice con cui sono illustrati perfettamente i meccanismi di condizionamento della nostra società in quegli anni (e non solo) e che in questo caso riguardano l'apparecchiatura per la merenda di metà mattina:

<<L'insegnante esorta i maschi a fare altrettanto, e ripete l'invito più volte, ma l'attesa si prolunga, il disordine continua e l'insegnante, invece di affidarsi al metodo delle conseguenze naturali e lasciare che chi non è tanto autonomo né tanto affamato da preparare il necessario da solo salti tranquillamente la colazione, ricorre alla soluzione più semplice e comoda per lei, cioè incarica una o più bambine di "andare a prendere i cestini di Claudio, Stefano e Paolo, così forse si siederanno e staremo in pace tutti quanti." In questo atteggiamento dell'insegnante c'è una sottintesa indulgenza verso i maschi: "bisogna prenderli come sono." Le bambine non si fanno pregare: hanno già avuto a casa innumerevoli esempi di come si rende la vita più facile e piacevole ai maschi della famiglia. La madre o le sorelle si fanno in quattro perché la tavola sia pronta al momento giusto, è stato loro richiesto infinite volte, per quanto recalcitranti potessero essere, di adeguarsi a questo uso ed è stato loro spiegato che solo servendo il maschio si verrà un bel giorno scelte da lui. La lode è il loro premio, l'effetto che otterrà il loro comportamento è la loro continua preoccupazione, il bisogno di essere benvolute e accettate è enorme perché sono già coscienti della loro inferiorità. Il loro imperativo è che devono piacere. L'insegnante, dal canto suo, evita di intervenire facendo lei quello che i maschi si rifiutano di fare o fanno malvolentieri, perché questo minerebbe la sua autorità, ma se la cava addossandolo alle bambine. Nessuno si scandalizza per questo. Il razzismo insito in tale comportamento passa del tutto inosservato.>>

Cosa mi è piaciuto: è un saggio interessantissimo e ben scritto.

Giudizio: consigliatissimo per tutti! ⭐⭐⭐⭐

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