martedì 20 giugno 2023

Erri De Luca racconta la storia di Mosè

 Fu un acquisto molto impulsivo, dettato solo dal fatto che E disse era l'ultimo libro di Erri De Luca uscito in libreria e catalizzò la mia attenzione.


In effetti l'argomento non è proprio di mio interesse, però la scelta è stata comunque ripagata e la lettura è stata piacevole. Ho colto l'occasione della Sfida dei sette libri in sette giorni di questa primavera per incastrarne il recupero, rimandato dal 2011.

Non riprendevo in mano un De Luca da tempo. Appena ho scorso gli occhi sulle prime frasi mi è sembrato di tornare a respirare un'aria familiare. Ho sempre amato le sue parole, il modo in cui scrive, come suonano dolci le sue frasi. Alcune citazioni le ripeto ogni tanto nella mente. La prosa di De Luca è unica, riconoscibile fra milioni di altri autori. Si fa poesia, sceglie un lessico preciso, soave.

E disse è una biografia a suo modo, un fatto di cronaca e al tempo stesso una leggenda. È la storia di Mosè dal momento in cui sale sul Sinai con alcuni flashback e flashforward a completare la visione d'insieme. Di fatto la narrazione si incentra sull'episodio dell'annuncio dei Dieci Comandamenti.

Mosè, descritto come il primo scalatore della storia, scende dal Sinai ed è rinvenuto mezzo morto dai compagni. Suo fratello si prende cura di lui, ma ha perduto la memoria di chi è e di quanto è stato. È dunque attraverso le parole del fratello che ripercorriamo in poche scene il passato dell'uomo. Attraverso le visioni di Mosè si scorge appena la sua morte a quarant'anni di distanza. 

Mosè è affetto da amnesia perché l'esperienza che ha vissuto, l'incontro con la divinità, è troppo più grande del suo essere uomo. Solo la memoria dell'inizio della conversazione col suo dio gli permetterà di trasmettere il messaggio e di uscire dalla trance a cui era stato confinato dal trauma di quanto vissuto. Sarà Mosè a declamare i Comandamenti, ma qualcosa di molto più potente a scolpirli nella roccia del monte Sinai e a comunicarli attraverso lo spirito al popolo di Israele che ha seguito Mosè fuori dall'Egitto.

De Luca ha studiato l'ebraico antico e ha tradotto alcuni libri della Bibbia, pertanto è perfetto conoscitore della materia. Mi è piaciuto moltissimo scoprire una traduzione dei Comandamenti diversa e ragionata rispetto a quella che abitualmente si sente ripetere e che mi fu insegnata da bambina. De Luca spiega i Comandamenti come un linguista ed è davvero interessante. Era stato stimolante anche sentire la versione di Benigni sulla Rai e qua torna, per esempio, la stessa spiegazione del Sesto Comandamento, profondamente diverso dal testo più conosciuto.

Ho apprezzato, inoltre, la lettura misantropa di alcuni passaggi, storicamente volti in modo opposto, raccontati con la delicatezza e la passione che già altre volte avevo conosciuto nell'autore.

Tutto sommato è stata una lettura piacevole per lo stile e particolarmente interessante, oltre che istruttiva. Il testo, inoltre, è tanto breve che dargli un'occasione è quasi mandatorio.

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2

giovedì 15 giugno 2023

Il secondo libro della "Saga del Caffè" di Toshikazu Kawaguchi: io mi fermo qua

 Come già raccontato in precedenza, ormai i primi due volumi li avevo già a casa e, con pochissima voglia, mi sono approcciata al secondo romanzo di questa saga così acclamata dal resto del mondo, Basta un caffè per essere felici. L'avevo già messo nella sfida dello Scaffale Strabordante e mi sono tolta il dente inserendolo anche in quella primaverile dei Sette libri in sette giorni.


Toshikazu Kawaguchi riparte la narrazione sei anni dopo i fatti raccontati nel primo libro. I personaggi principali sono gli stessi con una variante (per chi non ha letto il primo, ❗attenzione spoiler❗, ma non è mia la colpa): Nagare, il padrone della caffetteria in cui si può tornare indietro nel tempo; sua cugina Kazu, che lavora nel locale come cameriera ed è addetta alla cerimonia del versare il caffè dall'apposita caffettiera d'argento per permettere ai viaggiatori di tornare nel passato o recarsi nel futuro; la figlia di Nagare, Miki, che ha circa sei anni all'inizio di questo romanzo e che è orfana di madre perché la moglie di Nagare, Kei, muore di parto. C'è anche un breve affaccio sulla storia di Fumiko, una delle donne di cui era stata raccontata la storia e che aveva sentito il bisogno di affrontare "il rituale" sei anni prima. 

Per rinfrescare le idee, i romanzi trattano di storie infelici di persone che scoprono l'esistenza di questa particolare caffetteria di Tokyo in cui sedendosi a un particolare tavolino, su una particolare poltrona occupata da un fantasma, che si alza per andare in bagno una sola volta al giorno, e facendosi versare il caffè da questa particolare caffettiera, si può viaggiare nel tempo verso un giorno e un orario preciso. La meta è sempre lo stesso tavolo dello stesso locale, ma quel che sperano le persone che desiderano spostarsi nel passato o nel futuro è avere un colloquio con una persona importante della loro vita che era nel caffè al giorno e all'ora X. Per i fruitori di questa particolare cerimonia parlare con questa specifica persona non può cambiare il presente -o il futuro- (anche perché la maggior parte delle volte, troppo presi dall'emozione, stanno di morto parecchio zitti), ma di solito confidarle un non detto o compiere un'azione che non avevano mai avuto il coraggio o il tempo di fare, cambia la percezione del loro rimpianto o del loro rimorso (perché di questo si tratta, altrimenti nessuno sentirebbe il bisogno di dare una svolta al punto di mettersi a viaggiare nel tempo).

Rispetto al primo romanzo, però, ci sono alcuni piccoli cambiamenti.

Prima di tutto c'è una nuova regola, mai specificata nel primo episodio e funzionale alla trama e ai "colpi di scena" di questo secondo capitolo: solo le donne della famiglia Tokita possono servire il caffè nella cerimonia che concede di viaggiare nel tempo a partire dall'età di sette anni. Fino a questo momento avevo creduto che lo facesse Kazu perché era più brava o aveva semplicemente più "sbatta" di starci dietro, ma stavolta c'è questa specifica. Comparirà nell'ultimo capitolo un'ulteriore regola al riguardo che sarà approfondita e motivata (e serve a dare la svolta alla storia di un personaggio).

Infatti la seconda novità è che viene inquadrato leggermente di più il contesto familiare dei gestori della caffetteria: grazie ai viaggi nel passato vediamo Nagare o Kazu venti o trent'anni prima (molto di più di quanto era avvenuto nei casi affrontati nel precedente libro) e quindi scopriamo quando hanno cominciato a lavorare in quel bar e qualcosa in più sulla parentela e sula storia di Kazu.

Infine ho colto una differenza anche nel tipo di storie e di personaggi proposti. Si tratta anche stavolta di quattro storie che riguardano due amici, Gotaro e Shuichi; una madre, la professoressa di arte di Kazu, e suo figlio, Kinuyo e Yukio; due colleghi di Fumiko che erano stati fidanzati, Katsuki e Asami; e infine un'ispettore di polizia, Kiyoshi, e sua moglie Kimiko. Mi sono sembrate storie tristi certamente, ma meno devastanti e irrealistiche rispetto a quelle illustrate nello scorso romanzo. Anche le motivazioni dei loro gesti mi sono sembrate più approfondite e i personaggi in sé un filo più sfaccettati e meglio descritti. Questo miglioramento l'ho apprezzato. Una delle principali critiche che avevo mosso a Finché il caffè è caldo era stata proprio di avere personaggi affettati con l'accetta, che si identificavano solo col proprio ruolo da svolgere, ma senza un minimo di background. Per fortuna sono scomparse anche le descrizioni senza senso di abiti improbabili delle signore che popolavano il libro precedente e che avevo ferocemente contestato.

Per il resto lo stile rimane poco affine al mio gusto: è molto lento, i dialoghi stentano perché ogni battuta è intervallata dalla descrizione di cosa pensa o prova il personaggio, non c'è fluidità nei parlati e questi riempitivi mi danno l'idea di essere messi per allungare il brodo, perché i quattro capitoli potrebbero essere svolti in molto meno delle 172 pagine che occupano. Allo stesso modo la ripetizione perpetua delle regole dei viaggi nel tempo è davvero eccessiva, snervante, costringendomi a saltare a piè pari paragrafi interi, perché non avrei resistito a leggerla un'altra volta. Arrivo a comprendere la necessità di riepilogarle una volta all'inizio del romanzo perché il lettore le ha scordate (chissà quanto tempo è passato da quando ha letto il precedente volume), ma l'elenco completo con tanto di domande del personaggio a cui tocca stavolta sorbirsele è ripetuto più di quattro volte. Ebbene sì, non solo questo bignami di giurisprudenza del viaggio nel tempo è declamato a tutti e quattro i pazzi (questa volta sono tutti uomini, l'altra volta erano tutte donne -era un'altra critica che avevo fatto perché accusavo Kawaguchi di considerare solo le donne così fragili da necessitare questa terapia d'urto-) che tornano indietro o vanno avanti attraverso varchi spazio-temporali fatti di vapore di caffè, nossignori, sprazzi di regole sono anche ripassate mentalmente da quegli sfortunati che le conoscevano già da prima. Quindi il lettore rischia di sentirsele ricordare prima dal personaggio, poi da Kazu, poi di nuovo dal personaggio e ancora da Kazu e così via in un ciclo eterno.

In conclusione...

Cosa mi è piaciuto: migliorano le storie, retroscena più accurati dei personaggi

Cosa non mi è piaciuto: ripetitivo, lento e prolisso

Giudizio: un briciolo sopra il precedente ⭐⭐