venerdì 13 gennaio 2023

Il primo libro della "Saga del Caffè" di Toshikazu Kawaguchi

Per il Natale 2021 il mio fidanzato mi regalò, su mia richiesta, i primi due libri che raccontano le vicende di una piccola caffetteria a Tokyo. Bramavo tantissimo leggerli, ne avevo sentito parlare troppo bene. Addirittura, nell'anno in cui tra amiche avevamo deciso che il regalo per i nostri compleanni sarebbe stato un libro, avevo pensato che Finché il caffè è caldo sarebbe stato adattissimo per quella di noi che aveva una passione per Giappone e Cina.


Il primo romanzo, Finché il caffè è caldo, titolo che sintetizza la regola più importante della caffetteria, è stato un caso editoriale. L'ho letto tra settembre e novembre 2022: ci ho messo un po', sì, per un libro così corto (corto tanto che si può leggere agevolmente in 1-2 giorni). Ci ho messo molto tempo perché ne ho letto metà e poi sono stata presa da altre letture che mi intrigavano di più. L'ho interrotto così presto perché già al primo quarto c'ero rimasta male. L'avevo tanto desiderato e mi ero fatta delle aspettative leggendo la trama. Eh, già...perché la sinossi recita:

Un tavolino, un caffè, una scelta. Basta solo questo per essere felici.
In Giappone c’è una caffetteria speciale. È aperta da più di cento anni e, su di essa, circolano mille leggende. Si narra che dopo esserci entrati non si sia più gli stessi. Si narra che bevendo il caffè sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Si narra che con un semplice gesto tutto possa cambiare. Ma c’è una regola da rispettare, una regola fondamentale: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Non tutti hanno il coraggio di entrare nella caffetteria, ma qualcuno decide di sfidare il destino e scoprire che cosa può accadere. Qualcuno si siede su una sedia con davanti una tazza fumante. Fumiko, che non è riuscita a trattenere accanto a sé il ragazzo che amava. Kotake, che insieme ai ricordi di suo marito crede di aver perso anche sé stessa. Hirai, che non è mai stata sincera fino in fondo con la sorella. Infine Kei, che cerca di raccogliere tutta la forza che ha dentro per essere una buona madre. Ognuna di loro ha un rimpianto. Ognuna di loro sente riaffiorare un ricordo doloroso. Ma tutti scoprono che il passato non è importante, perché non si può cambiare. Quello che conta è il presente che abbiamo tra le mani. Quando si può ancora decidere ogni cosa e farla nel modo giusto. La vita, come il caffè, va gustata sorso dopo sorso, cogliendone ogni attimo.
E parla di 5 regole da seguire:
1. Sei in una caffetteria speciale. C’è un unico tavolino e aspetta solo te.
2. Siediti e attendi che il caffè ti venga servito.
3. Tieniti pronto a rivivere un momento importante della tua vita.
4. Mentre lo fai ricordati di gustare il caffè a piccoli sorsi.
5. Non dimenticarti la regola fondamentale: non lasciare per alcuna ragione che il caffè si raffreddi.
Mi ero pregustata qualcosa di molto filosofico e meditativo sul senso della vita: immaginavo questi clienti, ognuno con la sua storia, sedersi al tavolino e riflettere sugli errori commessi e su come accettarli e vivere la vita con maggior consapevolezza. Nulla, assolutamente nulla, (e ho riportato integralmente la trama apposta) fa pensare che si tratti di viaggi nel tempo: non psicologici, veri e propri viaggi nel tempo. Non c'è alcuna sfilza di avventori che va a cercare la propria soluzione dei problemi. Chi va a sedersi al tavolino che fa viaggiare nel tempo sono i personaggi del romanzo: intendo dire personaggi le cui vite sono intrecciate a quelle del locale, che lo popolano abitualmente, ovvero amici, conoscenti, membri stessi dello staff, non estranei, cioè clienti nel vero senso del termine.
La prima cosa che mi viene in mente è che abbiano sbagliato a comunicare la trama di questa storia: se avessi letto di viaggi nel tempo, probabilmente non l'avrei acquistato.
Anche le copertine pastello con rami di ciliegio in fiore fanno pensare alla cultura giapponese, al senso di Ikigai, la motivazione di vivere che puoi immaginare questi personaggi ritrovino riflettendo davanti al loro caffè. Non so perché ma qualcosa di fantascientifico come i viaggi nel tempo non riesco ad associarlo al Giappone. Mi stona. Questa potrebbe essere semplice ignoranza di una cultura di cui non conosco quasi niente. Pure, di fantascientifico non c'è veramente nulla, tranne il concetto in sé di viaggio spazio-temporale, poiché, anche se il viaggio c'è davvero, il risultato è quella riflessione sul senso delle proprie esistenze che mi aspettavo, sia pure in altra forma. Ma non si tratta di contemplare il momento che ha cambiato la tua vita o ricevere l'illuminazione circa il modo di condurla d'ora in poi. Chi salta nel tempo desidera incontrare qualcuno con cui parlare, quindi compie un'azione: la missione è dire o farsi dire qualcosa che cambierà in senso di quello che il personaggio stava vivendo quando ha preso la decisione di viaggiare nel tempo.
Di fatto questi quattro personaggi, tutti femminili, hanno ciascuno un loro capitolo dove siedono davanti alla tazza di caffè magica, per affrontare il loro angosciante problema, ma in realtà le loro storie si sviluppano anche in orizzontale e si intrecciano con le storie degli altri protagonisti. Ci sono i gestori della caffetteria, marito e moglie, Nagare e Kei, e una loro parente, che lavora con loro e serve il caffè ai viaggiatori del tempo, Kazu. Ci sono l'eccentrica Hirai, la donna in carriera Fumiko, l'infermiera con un marito malato, Kotake.
I personaggi, però, non sono approfonditi, sono appena abbozzati e alcuni sono anche un po' antipatici, principalmente Kazu, che svolge il ruolo di servitrice di caffè, ma non ha un carattere definito (si limita a maltrattare i clienti). In effetti sono più ruoli da rappresentare che personaggi nel vero senso del termine. Sono descritti in quello che fanno, ma non per chi sono e poco anche in relazione a ciò che provano. Un dettaglio curioso è il frequente descrivere come sono vestite le protagoniste della storia (male), l'accozzaglia di indumenti di varie fogge e colori che indossano (solo i personaggi di sesso femminile, perché non si fa caso a cosa usano gli uomini per coprirsi).
E poi a decidere di sedersi a quel tavolino sono sempre donne: mi viene da pensare che forse è la mentalità dell'uomo giapponese che considera fragili e bisognose di ricercare conferme o smentite nel passato e nel futuro solo le donne, mentre gli uomini vanno avanti per la loro strada senza cedere a queste debolezze, perché solo così si è veri uomini che fanno il loro dovere senza vacillare. Renderebbe questa cultura vicina a quella occidentale in tal senso, ma cercherò conferme leggendo il secondo romanzo.
L'ultima cosa che mi viene da dire è: accipicchia quanto melodramma! Soprattutto l'ultima storia, che è inverosimile (ma proprio tanto) e drammatica fino al voltastomaco. Le storie non mi sono piaciute, forse un pochino di più quella dell'infermiera, ma le altre pessime. Le dinamiche sono drammatiche (e troppe per un libro solo). Ci sono lutti, malattie, abbandoni, ma trattati con un tono inappropriato, buttati lì: non li percepiamo davvero durante la lettura. Sono trattati con leggerezza dai personaggi che li dovrebbero star vivendo e dall'autore, che elenca questi dolori più che trattarli. Per me è stato un modo superficiale di gestire questi racconti, come a voler inserire un tema che punta alle viscere ma solo per attrarre lettori, senza veramente svolgerci un lavoro, che avrebbe comportato concentrarsi su una di queste storie e rivelarne le sfaccettature, permettendo di coglierla appieno. Non basta mostrare un personaggio che piange a una brutta notizia per empatizzare con lui, se l'unica cosa che leggiamo è una descrizione di fatti che si susseguono. Non sono riuscita a entrare né nelle vicende, né nei personaggi. Ancora una volta penso che sia da imputarsi a una cultura così diversa dalla nostra, in cui i sentimenti sono considerati troppo intimi per poterli esporre davvero e sono resi inaccessibili da chi li vive. Forse è anche una letteratura a cui non sono abituata. Prima di questo libro, di nipponico avevo letto solo alcuni saggi sull'Ikigai e L'abito di piume di Banana Yoshimoto, che non mi era piaciuto. 
Resta il fatto che sono rimasta molto delusa. Leggerò il secondo libro perché me lo sono fatta regalare ormai, ma non vi ripongo nessuna aspettativa- Anzi, questo sfornare altri titoli in rapida successione (quattro in sei anni, guardando le date delle pubblicazioni in Giappone) mi spinge ormai a temere che si tratti di prodotti da "vendita facile" invece che testi davvero sentiti.

Giudizio: ⭐

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