sabato 25 novembre 2023

Il tema dell'identità in Uno, nessuno, centomila

 Il teatro di Pirandello mi ha sempre offerto sulla carta o sul palco storie meravigliose, originali, ingegnose, in grado di illustrare paradossi dell'animo e della società. Inoltre propone modelli innovativi di teatro, di messa in scena; fa da apripista a un metateatro che influenzerà molto gli scrittori suoi conterranei dopo di lui. Si pensi ai Sei personaggi in cerca di autore e alla sua influenza su Riccardino di Andrea Camilleri, che ha chiuso la serie di romanzi del commissario Montalbano in base a questa filosofia (ma in modo del tutto insoddisfacente per me).


Il teatro pirandelliano l'ho scoperto soprattutto da adulta, recandomi alla Pergola a Firenze, mostratomi da attori come Gabriele Lavia o Sebastiano Lo Monaco. Ma i romanzi e le novelle di Pirandello, invece, mi sono state insegnati a scuola, al liceo, a opera di un'insegnante che non mi ha mai trasmesso nessun amore per nessuno degli argomenti trattati in quel contesto. Sono stata fortunata a essere già stata interessata dalla letteratura prima di incontrarla e a portare avanti le mie passioni a prescindere da lei.

Così accade che il secondo romando di Luigi Pirandello che ho letto (dopo Il fu Mattia Pascal a scuola che mi piacque, ma non abbastanza da non meritare una seconda lettura riparatrice) è Uno, nessuno, centomila alla veneranda età di 33 anni.

Acquistato molti anni fa, poiché in una edizione economica della Giunti, solo in una sfida di lettura di 7 libri in 7 giorni, ho colto l'occasione di recuperarlo.

La storia è famosa: guardandosi allo specchio Vitangelo Moscarda nota per la prima volta un piccolo difetto del naso e scopre che la moglie conosceva perfettamente quell'aspetto e molti altri che lui non conosceva. Moscarda si rende dunque conto che l'aspetto che lui immagina per sé non è quello che gli altri hanno in mente di lui. Si scatena così una serie di riflessioni, che occupano soprattutto la prima parte del libro, sulla soggettività delle impressioni che ognuno ricava dall'immagine e dal carattere di una persona, che genererà tante "persone" quante sono gli individui che hanno a che fare con quella persona e che da essa ricavano impressioni sempre diverse e personali.

Questo aspetto filosofico sull'identità e sull'impossibilità di cogliere mai l'interezza dell'altro (e con cui esso possa riconoscersi) e nemmeno di sé stesso, generando immagini sempre diverse e incomplete di qualcuno mi ha incantata. Non solo è di mio interesse, ma è anche scritto e spiegato benissimo.

La seconda parte del romanzo tratta invece delle conseguenze di queste riflessioni di Vitangelo sulla sua vita: questa parte mi è piaciuta meno e ha un finale piuttosto triste, eppure coerente.

Giudizio: ho adorato tutta la parte psicologica del romanzo e ho trovato geniali e a volte divertenti molte riflessioni. ⭐⭐⭐ 3/4

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