venerdì 7 giugno 2024

Prima esperienza con le detective stories orientali: il detective Kindaichi

 Edito nel 1946, Il detective Kindaichi, alias I delitti di Honjin, vinse il Mystery Writers of Japan Award nel 1948. A quanto mi risulta, questo romanzo, tradotto in Italia da Sellerio (203 pagine più glossario) è il primo della serie che ha per protagonista Kosuke Kindaichi, che qui appare come un giovane, circa venticinquenne, dall'aria trasandata, ma abile osservatore.


L'autore, Kosuke Kindaichi, è noto per la sua passione per i gialli occidentali (di cui cita molti autori anche nel romanzo, in particolare Dickson Carr, a cui è stato paragonato, arrivando a definirlo la sua variante giapponese), che ha tentato di emulare anche nella propria scrittura. Ci è riuscito?

Naturalmente posso esprimermi solo per il volume che ho letto, la cui ambientazione, tuttavia è molto nipponica, seppure lo stile di scrittura e la modalità con cui Kindaichi segue le indagini (anche se un po' carenti) rimandino al giallo classico, così come la trama.

Si tratta, infatti, di un delitto della stanza chiusa, grande must del genere giallo, particolarmente nel periodo in cui la storia è scritta. Nello stesso prologo si fa riferimento a Il mistero della camera gialla di Gaston Leroux (1907), Arsen Lupin. I denti della tigre di Maurice Leblanc (1921), La canarina assassinata (1927) e La tragedia in casa Coe (1933) di S. S. Van Dine e, naturalmente, La casa stregata di Dickson Carr (1934). Io aggiungo L'assassinio di Roger Ackroyd (1926) e Il Natale di Poirot (1938) di Agatha Christie.

La storia inizia con un narratore che rievoca quanto gli è stato raccontato da il dottor F. Il caso del villaggio di Yamanodani è riportato come se fosse un racconto di terza mano. Introdotta la ricca famiglia Ichiyanagi e gli antefatti del matrimonio tra il primogenito Kenzo e la maestra di scuola Katsuko, già nel capitolo 4 giungiamo alla tragedia. Gli eventi concernenti l'omicidio sono descritti dal punto di vista dell'affezionato zio di Katsuko, Ginzo: è lui che a chiamare a investigare il suo abile conoscente, Kindaichi, che comparirà quattro capitoli più tardi. I due coniugi sono, infatti, rinvenuti nella dépendance della casa principale, dove stavano trascorrendo la prima notte di nozze. Il luogo, descritto minuziosamente, anche con l'aiuto di una mappa, risulta tuttavia difficile da inquadrare per l'immaginazione di un lettore occidentale, tra soprafinestre, ponticelli, Shoji e, soprattutto, lo  strumento musicale protagonista del mistero, il koto.

Altro protagonista della storia è l'uomo con tre dita, che si aggira intorno alla casa fin dall'inizio. Il lettore di gialli un po' avveduto indovinerà presto come si inserisce nella vicenda.

Le descrizioni paesaggistiche e degli edifici sono molte e un pochettino prolisse, a mio parere: perlomeno hanno appesantito la mia lettura, che non è risultata così scorrevole. Le indagini sono presenti, ma al lettore non sono svelati tutti gli elementi che scopre Kindaichi (come vorrebbe invece l'ottava regola del decalogo di Knox). Il detective un po' prosegue per deduzioni e un po' per intuito. La nota più dolente è probabilmente il finale, la risoluzione del mistero, per due ragioni: la prima è proprio chi è stato; la seconda è la dinamica del delitto, molto alla Detective Konan, ossia impossibile da indovinare (un po' come tutti i sistemi con cui sono risolti i misteri delle camere chiuse, del resto).

Giudizio: un po' noioso e un po' deludente ⭐⭐

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