Avevo aspettative altissime sulla narrativa di Jorge Luis Borges, ma errate, fondate su una convinzione generata dall'accostamento del suo nome a quello di Italo Calvino.
Non credo ci possano essere due prose tanto diverse o, perlomeno, questa è l'impressione che ne ho ricavata leggendo la mia prima raccolta di racconti dell'autore argentino, L'Aleph (Feltrinelli, 192 pagine scritte molto grandi, almeno dal confronto fatto col romanzo finito di leggere poco prima, Cucinare un orso, edito da Iperborea).
I racconti sono infarciti di riferimenti colti o religiosi. L'autore dichiara in prefazione che, salvo due, si tratta di parti della propria fantasia, ma, a mio avviso, non ha le caratteristiche di una narrazione fantastica: non aspettatevi l'assurdo di Calvino, le descrizioni colorite, gli approfondimenti emotivi. L'idea che mi sono fatta è che queste poche pagine siano riflessioni, il pretesto dell'autore per soffermarsi su un tema, su un'idea, da sviscerare, un là per sé e per il lettore per vedere un certo punto di vista, un nuovo aspetto di qualcosa.
La maggior parte dei racconti mi ha lasciata indifferente, quasi perplessa: non mi sono mai sentita coinvolta o appassionata, così che la lettura alla fine non è stata un piacere, anche se non si può parlare di fatica perché le pagine sono davvero poche per ciascun racconto.
Giudizio: non posso davvero dire che mi siano piaciuti, tranne L'altra morte. ⭐⭐

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