mercoledì 3 gennaio 2024

Il cardellino di Donna Tartt è perfetto solo per gli americani?

 Il cardellino di Donna Tartt è stato una lettura impegnativa, non solo per la mole di quasi 900 pagine, ma anche perché, in così tante pagine, è stato quasi inevitabile che ogni tanto la noia si avvertisse.


La storia è quella di un ragazzo, Theo, che a tredici anni perde la sua unica certezza familiare e allo stesso tempo si lega per sempre a un quadro, Il cardellino di Carel Fabritius. Da quel momento sarà un po' sballottato in un'instabilità familiare e relazionale, ma nella sua vita resterà costantemente incombente questo quadro, in un certo senso personaggio che determinerà anche alcune svolte nella vita del protagonista.

Fino all'ultimo non si sa bene dove l'autrice vada a parare, ma infine tutto si ricollega, torna e si avverte un senso (di cui fino a quel momento avevo un po' dubitato).

Personalmente, per lungo tempo, dato il numero di pagine, non riuscivo a capire il senso delle molte parole spese per raccontare le innumerevoli sbronze, perdite di coscienza ed effetti di droghe a cui Tartt sottopone i suoi personaggi. Questa parte e il primissimo capitolo sono stati le fonti maggiori di tedio e disinteresse, mentre, dopo il primo capitolo, ma con qualche rallentamento, la storia prende molto di più. La vita americana, qua soprattutto raccontata come quella di famiglie bene newyorkesi, tra apparenza, antiquariato, cene, aste e droghe, è abbastanza estranea e noiosa ai miei occhi.

Lo stesso protagonista è, al contempo, sia un povero cucciolo ferito da quanto gli è capitato nella vita, tra lutti e DSPT, insieme al quale piangere, sia un debosciato che era già avviato su una via non retta e che poco ha fatto, successivamente, per non abbandonarsi, per chiedere aiuto.

Terminate le lamentele, non posso riconoscere che si tratti di una buona storia, trattata un filino prolissamente, ma non priva di lati positivi (del resto gli è stato riconosciuto un Pulitzer nel 2014, anche se agli americani si può dare un credito limitato).

I personaggi, in genere, sono caratterizzati in modo eccellente e prendono vita e tridimensionalità sulle pagine: sono molto sfaccettati, complessi, approfonditi. Nessuno di loro, a partire dal protagonista, che appunto è grigio, è connotato da una sola qualità o difetto. A eccezione del buon Hobie (che è in effetti il mio preferito) e, forse, di Pippa, nessuno è completamente buono o del tutto un cattivo soggetto, neppure il padre di Theo.

I sentimenti di Theo sono passati al microscopio e rigirati da ogni lato come calzini, pertanto giungiamo a conoscerlo quasi intimamente: per questo, in modo riuscitissimo, empatizziamo con lui nei dolori e nelle speranze, con, almeno per me, le eccezioni sopramenzionate (senza scendere nei dettagli per minimizzare gli spoiler). In quelle occasioni l'avrei volentieri schiaffeggiato, perché smettesse di comportarsi in modo così masochista, ma in molte altre mi sono commossa o emozionata con lui. Tutto questo non fa che provare l'ottimo lavoro della scrittrice, che ha curato moltissimo l'interiorità e la complessità di Theo. Ci trascina nei tortuosi labirinti in cui si infila il nostro ragazzo, un po' da solo, un po' favorito nella sua fragilità dagli eventi. Chapeau.

La storia ha un finale aperto, caratteristica che ho apprezzato, perché posso decidere autonomamente quanto lieto o meno sarà il futuro di Theo, in base al percorso che ha fatto nel romanzo, compresa una svolta notevole a un certo punto. Infatti, al riguardo sono ottimista, altrimenti queste 900 pagine sarebbero davvero state inutili (e non credo lo sopporterei), se nulla fosse cambiato, ma, appunto, ogni lettore ha margine per decidere secondo il suo modo di vedere il testo e la vita in genere. Tuttavia, il finale è anche stato gravato da alcuni spiegoni sul senso della vita da parte di alcuni personaggi e l'ho trovato un modo un pochino troppo didascalico per dare una morale conclusiva a tutta la storia.

Riguardo la scrittura, è molto alta, specialmente in certi momenti del romanzo, ma non è scevra da lungaggini e, come già detto, un pelo prolissa (o non si spiegherebbe la lunghezza del romanzo).

Cosa mi è piaciuto: ottima scrittura; personaggi meravigliosamente caratterizzati, vivi; rapporto di amore-odio col protagonista; commozione frequente; Hobie; finale aperto.

Cosa non mi è piaciuto: certi parti della storia non sono state di mio interesse; rapporto di amore-odio col protagonista; un filo di noia e di prolissità; finale didascalico.

Giudizio: ⭐⭐⭐3/4

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