venerdì 13 gennaio 2023

Il primo libro della "Saga del Caffè" di Toshikazu Kawaguchi

Per il Natale 2021 il mio fidanzato mi regalò, su mia richiesta, i primi due libri che raccontano le vicende di una piccola caffetteria a Tokyo. Bramavo tantissimo leggerli, ne avevo sentito parlare troppo bene. Addirittura, nell'anno in cui tra amiche avevamo deciso che il regalo per i nostri compleanni sarebbe stato un libro, avevo pensato che Finché il caffè è caldo sarebbe stato adattissimo per quella di noi che aveva una passione per Giappone e Cina.


Il primo romanzo, Finché il caffè è caldo, titolo che sintetizza la regola più importante della caffetteria, è stato un caso editoriale. L'ho letto tra settembre e novembre 2022: ci ho messo un po', sì, per un libro così corto (corto tanto che si può leggere agevolmente in 1-2 giorni). Ci ho messo molto tempo perché ne ho letto metà e poi sono stata presa da altre letture che mi intrigavano di più. L'ho interrotto così presto perché già al primo quarto c'ero rimasta male. L'avevo tanto desiderato e mi ero fatta delle aspettative leggendo la trama. Eh, già...perché la sinossi recita:

Un tavolino, un caffè, una scelta. Basta solo questo per essere felici.
In Giappone c’è una caffetteria speciale. È aperta da più di cento anni e, su di essa, circolano mille leggende. Si narra che dopo esserci entrati non si sia più gli stessi. Si narra che bevendo il caffè sia possibile rivivere il momento della propria vita in cui si è fatta la scelta sbagliata, si è detta l’unica parola che era meglio non pronunciare, si è lasciata andare via la persona che non bisognava perdere. Si narra che con un semplice gesto tutto possa cambiare. Ma c’è una regola da rispettare, una regola fondamentale: bisogna assolutamente finire il caffè prima che si sia raffreddato. Non tutti hanno il coraggio di entrare nella caffetteria, ma qualcuno decide di sfidare il destino e scoprire che cosa può accadere. Qualcuno si siede su una sedia con davanti una tazza fumante. Fumiko, che non è riuscita a trattenere accanto a sé il ragazzo che amava. Kotake, che insieme ai ricordi di suo marito crede di aver perso anche sé stessa. Hirai, che non è mai stata sincera fino in fondo con la sorella. Infine Kei, che cerca di raccogliere tutta la forza che ha dentro per essere una buona madre. Ognuna di loro ha un rimpianto. Ognuna di loro sente riaffiorare un ricordo doloroso. Ma tutti scoprono che il passato non è importante, perché non si può cambiare. Quello che conta è il presente che abbiamo tra le mani. Quando si può ancora decidere ogni cosa e farla nel modo giusto. La vita, come il caffè, va gustata sorso dopo sorso, cogliendone ogni attimo.
E parla di 5 regole da seguire:
1. Sei in una caffetteria speciale. C’è un unico tavolino e aspetta solo te.
2. Siediti e attendi che il caffè ti venga servito.
3. Tieniti pronto a rivivere un momento importante della tua vita.
4. Mentre lo fai ricordati di gustare il caffè a piccoli sorsi.
5. Non dimenticarti la regola fondamentale: non lasciare per alcuna ragione che il caffè si raffreddi.
Mi ero pregustata qualcosa di molto filosofico e meditativo sul senso della vita: immaginavo questi clienti, ognuno con la sua storia, sedersi al tavolino e riflettere sugli errori commessi e su come accettarli e vivere la vita con maggior consapevolezza. Nulla, assolutamente nulla, (e ho riportato integralmente la trama apposta) fa pensare che si tratti di viaggi nel tempo: non psicologici, veri e propri viaggi nel tempo. Non c'è alcuna sfilza di avventori che va a cercare la propria soluzione dei problemi. Chi va a sedersi al tavolino che fa viaggiare nel tempo sono i personaggi del romanzo: intendo dire personaggi le cui vite sono intrecciate a quelle del locale, che lo popolano abitualmente, ovvero amici, conoscenti, membri stessi dello staff, non estranei, cioè clienti nel vero senso del termine.
La prima cosa che mi viene in mente è che abbiano sbagliato a comunicare la trama di questa storia: se avessi letto di viaggi nel tempo, probabilmente non l'avrei acquistato.
Anche le copertine pastello con rami di ciliegio in fiore fanno pensare alla cultura giapponese, al senso di Ikigai, la motivazione di vivere che puoi immaginare questi personaggi ritrovino riflettendo davanti al loro caffè. Non so perché ma qualcosa di fantascientifico come i viaggi nel tempo non riesco ad associarlo al Giappone. Mi stona. Questa potrebbe essere semplice ignoranza di una cultura di cui non conosco quasi niente. Pure, di fantascientifico non c'è veramente nulla, tranne il concetto in sé di viaggio spazio-temporale, poiché, anche se il viaggio c'è davvero, il risultato è quella riflessione sul senso delle proprie esistenze che mi aspettavo, sia pure in altra forma. Ma non si tratta di contemplare il momento che ha cambiato la tua vita o ricevere l'illuminazione circa il modo di condurla d'ora in poi. Chi salta nel tempo desidera incontrare qualcuno con cui parlare, quindi compie un'azione: la missione è dire o farsi dire qualcosa che cambierà in senso di quello che il personaggio stava vivendo quando ha preso la decisione di viaggiare nel tempo.
Di fatto questi quattro personaggi, tutti femminili, hanno ciascuno un loro capitolo dove siedono davanti alla tazza di caffè magica, per affrontare il loro angosciante problema, ma in realtà le loro storie si sviluppano anche in orizzontale e si intrecciano con le storie degli altri protagonisti. Ci sono i gestori della caffetteria, marito e moglie, Nagare e Kei, e una loro parente, che lavora con loro e serve il caffè ai viaggiatori del tempo, Kazu. Ci sono l'eccentrica Hirai, la donna in carriera Fumiko, l'infermiera con un marito malato, Kotake.
I personaggi, però, non sono approfonditi, sono appena abbozzati e alcuni sono anche un po' antipatici, principalmente Kazu, che svolge il ruolo di servitrice di caffè, ma non ha un carattere definito (si limita a maltrattare i clienti). In effetti sono più ruoli da rappresentare che personaggi nel vero senso del termine. Sono descritti in quello che fanno, ma non per chi sono e poco anche in relazione a ciò che provano. Un dettaglio curioso è il frequente descrivere come sono vestite le protagoniste della storia (male), l'accozzaglia di indumenti di varie fogge e colori che indossano (solo i personaggi di sesso femminile, perché non si fa caso a cosa usano gli uomini per coprirsi).
E poi a decidere di sedersi a quel tavolino sono sempre donne: mi viene da pensare che forse è la mentalità dell'uomo giapponese che considera fragili e bisognose di ricercare conferme o smentite nel passato e nel futuro solo le donne, mentre gli uomini vanno avanti per la loro strada senza cedere a queste debolezze, perché solo così si è veri uomini che fanno il loro dovere senza vacillare. Renderebbe questa cultura vicina a quella occidentale in tal senso, ma cercherò conferme leggendo il secondo romanzo.
L'ultima cosa che mi viene da dire è: accipicchia quanto melodramma! Soprattutto l'ultima storia, che è inverosimile (ma proprio tanto) e drammatica fino al voltastomaco. Le storie non mi sono piaciute, forse un pochino di più quella dell'infermiera, ma le altre pessime. Le dinamiche sono drammatiche (e troppe per un libro solo). Ci sono lutti, malattie, abbandoni, ma trattati con un tono inappropriato, buttati lì: non li percepiamo davvero durante la lettura. Sono trattati con leggerezza dai personaggi che li dovrebbero star vivendo e dall'autore, che elenca questi dolori più che trattarli. Per me è stato un modo superficiale di gestire questi racconti, come a voler inserire un tema che punta alle viscere ma solo per attrarre lettori, senza veramente svolgerci un lavoro, che avrebbe comportato concentrarsi su una di queste storie e rivelarne le sfaccettature, permettendo di coglierla appieno. Non basta mostrare un personaggio che piange a una brutta notizia per empatizzare con lui, se l'unica cosa che leggiamo è una descrizione di fatti che si susseguono. Non sono riuscita a entrare né nelle vicende, né nei personaggi. Ancora una volta penso che sia da imputarsi a una cultura così diversa dalla nostra, in cui i sentimenti sono considerati troppo intimi per poterli esporre davvero e sono resi inaccessibili da chi li vive. Forse è anche una letteratura a cui non sono abituata. Prima di questo libro, di nipponico avevo letto solo alcuni saggi sull'Ikigai e L'abito di piume di Banana Yoshimoto, che non mi era piaciuto. 
Resta il fatto che sono rimasta molto delusa. Leggerò il secondo libro perché me lo sono fatta regalare ormai, ma non vi ripongo nessuna aspettativa- Anzi, questo sfornare altri titoli in rapida successione (quattro in sei anni, guardando le date delle pubblicazioni in Giappone) mi spinge ormai a temere che si tratti di prodotti da "vendita facile" invece che testi davvero sentiti.

Giudizio: ⭐

Il primo giallo con protagonista Clara Simon: I delitti della salina

 Quest'estate era uscito Il complotto dei Calafati, del cagliaritano Francesco Abate, di cui ancora non avevo letto nulla, che mi ispirava per ambientazione e per il fatto di avere come protagonista una giovane investigatrice donna. Essendo una vergine pignola ho deciso di comprarmi (per portare a casa lo zainetto che Einaudi regalava con l'acquisto due titoli - poi non sapevo scegliere e ne ho comprati tre, tutti messi nella Sfida dello Scaffale Strabordante di quest'anno, ma fa lo stesso-) il primo titolo di questa saga: I delitti della salina. A dicembre finalmente me lo sono letta, per la Guforeadathonitalia.


Inizio Novecento, Cagliari. Clara Simon è la figlia di un capitano sardo disperso da cinque anni in Vietnam? e di una donna cinese che lavorava nei mercati di tessuti della città, morta subito dopo la nascita della figlia. Appartiene alla classe aristocratica, in quanto nipote di uno dei più importanti armatori della città, ma per le origini miste non è benvoluta e lo è ancora meno perché vuole diventare giornalista investigativa (la prima in Italia) per il quotidiano più importante di Cagliari, l'Unità. Non solo, con le sue inchieste sta cercando di sovvertire l'ordine costituito, schierandosi dalla parte dei lavoratori vessati da quegli stessi aristocratici con cui condividerebbe l'estrazione sociale, ma che la rifiutano. E infatti è stata degradata da poco a correttrice di bozze, quando cominciano a scomparire alcuni bambini che lavorano al mercato portando i cesti sulla testa, i cosiddetti picciocus de crobi, e quei lavoratori che aveva aiutato in passato le chiedono di scoprire la verità. Ad aiutarla saranno il suo amico d'infanzia, Ugo, e il tenente dei carabinieri Rodolfo, entrambi innamorati di lei.

La storia non sarebbe così spiacevole a leggersi (è piuttosto scorrevole), se non fosse che dovrebbe trattarsi di un giallo e invece non lo è nemmeno lontanamente. Se fosse venduto come "Le avventure di Clara Simon" non ci sarebbe niente da obiettare, ma non si può spacciare per una detective story. A metà libro ci sono due morti, ma ancora non si è avviata un'indagine. A due terzi del libro siamo a due morti e un attentato. Nelle ultime pagine si accumulano gli eventi che porteranno alla risoluzione del caso, ma ci si arriva solo perché è introdotto un personaggio che funge da deus ex machina (letteralmente "oh, sono capitato qui per sbaglio, vi porto dai cattivi io"), non per le deduzioni dei detectives, che sono tre, ma così impegnati a corteggiarsi da non trovare il tempo di svolgere un indagine (nel senso classico del termine, ovvero non "mi odia, deve essere stato lui"). Non c'è un indizio che sia uno sul colpevole, che poteva essere chiunque, visto che le sue motivazioni sono svelate solo alla fine. Se Abate lo riscrivesse mettendo un altro tizio o un'altra tizia qualunque sulla scena, non dovrebbe cambiare di una virgola le pagine precedenti.

Ho trovato eccessivo questo odio riversato come un fiume in piena sulla protagonista (giustificato solo dal razzismo, perché nasce a monte dell'essere diventata una figura scomoda dentro la stampa), che mi ha ricordato lo stesso astio che incontrava Petra Delicado nella sua prima indagine, Riti di morte (primo e ultimo libro che ho letto sull'investigatrice spagnola, il peggior libro in cui mi sia capitato di imbattermi nella vita, mentre di Alice Giménez Bartlett ho adorato invece Exit). Trattandosi di un primo libro di una saga, inoltre, dedica molto più tempo all'introduzione dei personaggi che si incontreranno negli episodi successivi (cercando di renderti simpatici i buoni e odiosi i cattivi), che all'intreccio. Ma questa non è una grande giustificazione. Il romanzo è autoconclusivo per quel che riguarda la serie di delitti (che per essere pignoli non sono neanche veri), ma ha un finale aperto, proprio troncato di netto (anche troppo detto tra noi), che non ho trovato così efficace: ha lasciato così tanto a desiderare il resto, che quanto è lasciato in sospeso non suscita abbastanza curiosità per comprare il secondo libro.

Giudizio: pessimo, non è un giallo, solo intrattenimento fine a sé stesso ⭐

domenica 8 gennaio 2023

I libri della Piccola Farmacia Letteraria

 Tra settembre e l'inizio di questo 2023 (il secondo capitolo è stato il mio libro ponte 2022-2023, seguendo la tradizione di concludere e finire l'anno con qualcosina di lieve, come tra 2021 e 2022, quando stavo leggendo Teresa Papavero e lo scheletro nell'intercapedine, altro giallo umoristico, ma molto più riuscito di quello di cui tratto oggi) mi sono letta i due libri di Elena Molini, la libraia che a Firenze ha aperto un negozio in cui ogni libro è accompagnato dal suo bugiardino: l'idea è che i libri siano terapeutici e che, dunque, i clienti trovino in libreria i rimedi per il proprio "male di vivere".

Sono venuta a sapere della libreria proprio perché una mia amica, che abita in città, ha trovato su quegli scaffali alcuni regali per la nostra compagnia, quando nel 2021 ci venne l'idea, per i nostri compleanni, di regalarci reciprocamente un libro. Così mi è toccata una copia di Quel che si vede da qui, prossimamente in lettura e su questi schermi. Poi tra le offerte di Amazon trovai a pochi euro Piccola Libreria con Delitto, che scoprii essere il sequel di La Piccola Farmacia Letteraria, che era disponibile per l'appunto su Kindle Unlimited quando mi ero iscritta al mese di abbonamento gratuito. Al modico prezzo per cui li ho avuti, sono libri che possono essere letti con leggera godibilità.


Partiamo dall'inizio, La Piccola Farmacia Letteraria, è il racconto un po' romanzato di come sia nata la libreria in via di Ripoli, romanzato sia nella trama, sia nella protagonista, che si chiama Blu Rocchini, ma non è dato sapere a quale livello di autobiografia corrisponda alla scrittrice, che però di certo consiglia gli stessi libri nella fiction e nella realtà, a giudicare dal libro che mi è stato regalato. Spero poco su tutto il resto, perché Blu è un personaggio perfettino e incoerente, che alterna la disorganizzazione alla pianificazione, la pretesa sciattezza alla frivolezza di mettersi in ghingheri scegliendo gli abiti che le stanno meglio. A volte la scrittrice la fa muovere come un personaggio di un anime (non un manga, c'è proprio l'animazione), che è qualcosa di spiacevole. La storia, però, è abbastanza carina: Blu, trentenne fiorentina, convive con le sue tre amiche del cuore (Carolina, Rachele e Giulia) e prova ad aprire una libreria nella parte sud d Firenze, che però stenta ad avviarsi, finché alcuni incontri non le danno alcune idee per farla decollare e non la mettono sulle tracce di un misterioso sconosciuto. 

La lettura è molto leggera, ma non riesco a scindere nel mio giudizio il fatto di averci trovato scritto, per la prima volta nella mia vita, un "piuttosto che" disgiuntivo. Una volta per tutte, non è il modo corretto di usarlo. Non lo è. Non è che esistono entrambe le forme, entrambi i significati: usarlo in modo disgiuntivo è scorretto e crea confusione. Chiuso. Vedere l'Accademia della Crusca per dubbi.

Giudizio: questo errore madornale e assolutamente imperdonabile di copiare una moda milanese nello scritto e l'antipatia del personaggio mi spingono su un giudizio basso ⭐⭐

Ma se non t'era piaciuto il primo, Giulia, perché hai perseverato col secondo? Perché ho comprato prima il titolo che m'attirava (da amante del giallo) e poi, visto che avevo l'opportunità gratuitamente, li ho letti in ordine cronologico. E ormai i miei quasi tre euro non li potevo gettare così. Col sequel, Piccola Libreria con Delitto, è andata un pochino meglio, probabilmente perché ha virato sul giallo e l'intreccio è discreto: la libreria di Blu si è ormai avviata con tanto successo che ora la giovane imprenditrice sta iniziando con l'amica Carolina degli incontri di biblioterapia. Una mattina però la chiama disperata la sua amica Rachele, chiusa a chiave dentro l'abitazione del fidanzato, agonizzante vicino a lei con un coltello piantato nel fianco. Blu si improvvisa detective e, naturalmente, risolverà meglio della polizia il mistero, pur essendo coinvolta affettivamente, cosa sempre raccomandata nelle inchieste. Il ritmo però ci guadagna, il piglio è più dinamico e meno ripetitivo che nel precedente romanzo. Invero, il colpevole è introdotto direttamente col movente, che si collega facilmente al significato di un messaggio che tutti i lettori capiranno al primo colpo (ma la detective in erba no), si lascia sfuggire un'affermazione che palesemente lo dichiara colpevole e, quindi, ai tre quarti del libro il lettore medio scopre l'assassino. Però la storia è gradevole. Come nel libro precedente, abbiamo la solita protagonista-narratrice antipatica, che a questo giro si mette anche a raccontarti completamente fuori contesto l'architettura delle Oblate e le statue di Boboli, così, per farti sapere che le conosce. Non bastava continuare a dimostrare di aver letto più libri di chiunque altro. La narratrice si lamenta anche di chi utilizza inglesismi come business, ma poche pagine dopo utilizza, anche stavolta senza senso, parole come "crush" e "appetizer". Il linguaggio, in questo come nel primo, è estremamente informale, quindi talvolta scade nel volgare. Nell'edizione in mio possesso ci sono anche diversi refusi, cosa che rende illegale vendere questi libri al prezzo pieno delle nuove uscite.

Giudizio: migliore del primo, ma non brilla per simpatia del personaggio primario, lettura adatta a chi cerca qualcosina di leggero ⭐⭐⭐

sabato 7 gennaio 2023

Libri crime del 2022

Un'altra delle mie passioni, nata abbastanza precocemente se consideriamo che a tredici anni ho letto il mio primo libro sul mostro di Firenze, reperito tra i volumi di mio padre in garage, è la criminologia. Forse è un'evoluzione della mia passione per i gialli, anche questa onnipresente (la vedete la bambina di quarta elementare che si guarda in pausa pranzo gli episodi de La signora in giallo?). La mia serie tv preferita di sempre è Criminal Minds, ascolto nel tempo libero podcast sui serial killer e così via. Quest'anno mi sono letta un libro che volevo approfondire da tempo: la storia vera del primo profiler a diventare famoso.


Mindhunter
: questo libro è uno dei must sulla narrativa di genere, interessantissimo in quanto scritto nientemeno che da John Douglas, insieme a Mark Olshaker. Douglas è stato uno dei primi profiler della storia dell'FBI e uno dei fondatori della Investigative Support Unit. Questi primi profiler realizzarono una serie di interviste ad alcuni noti serial killer, allo scopo di comprendere il funzionamento della loro mente, proprio per perfezionare la studio del comportamento. Tutte queste interviste, gli aneddoti e i racconti dei casi sono illustrati in questo libro ricchissimo e scritto in un linguaggio divulgativo, tra cui la volta in cui, con Roy Hazelwood, partecipò al programma The secret identity of Jack the Ripper per fornire un profilo dello Squartatore di Whitechapel. Insieme a Robert Ressler, Ann e Alan Burgess scrisse il Crime Classification Manual, perché affiancasse il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (il DSM) nelle indagini sui criminali. Sulla figura di Douglas hanno basato il personaggio di Jack Crawford del Silenzio degli innocenti. Anche i fondatori dell'Unità Analisi Compotamentale della serie tv Criminal Minds, chiaramente ispirata alla vera unità di profiler di Douglas, si basano sulla leggendaria figura del newyorkese.

Giudizio: veramente interessante e coinvolgente; a tutti gli interessati alla criminologia lo consiglio fortemente ⭐⭐⭐⭐

 Zodiac: veloce rassegna (80 pagine, tra cui una decina di appendici fotografiche) dei fatti di cronaca relativi al caso, ancora aperto e irrisolto, del famigerato Killer dello Zodiaco, che uccise almeno 5 persone (quelle accertate, ma si dibatte che possa averne uccise fino a 37) nella California degli anni '70, tra San Francisco e Los Angeles. Ho recuperato il volume dopo averne sentito l'audiolibro su Audible alcuni mesi fa, anche per tenerlo in casa da consultazione.

Giudizio: non applicabile

I libri di Agatha Christie che ho letto nel 2022

 Una certezza nella mia vita è che ogni anno ci sarà sempre un giallo di Agatha Christie da leggere o, almeno, rileggere. Di seguito i titoli di quest'anno.


Due mesi dopo (Poirot, gennaio) Da bambine io e mia sorella abbiamo visto e rivisto (registrato su vhs) infinite volte l'episodio della serie tv di Poirot col cagnolino Bob (stagione 6, episodio 4, Testimone silenzioso) perché adoravamo il Fox Terrier coprotagonista. In effetti sia nel libro sia nel film, è il cane della signora Emily Arundell, morta in circostanze apparentemente normali, a confermare a Poirot che i presentimenti che l'anziana donna aveva, ma non aveva voluto esprimergli chiaramente per lettera (nel romanzo) o a voce (nel film), non erano infondati.

Libro ed episodio stavolta sono molto diversi tra loro: in tv è adottato un espediente che rende meno indaginoso l'ingresso di Poirot nell'indagine. Nel libro, infatti, il nostro belga riceve con un ritardo di due mesi la lettera della signora Arundell, in cui gli chiede di indagare sui suoi (non dichiarati) sospetti riguardo ai suoi familiari. L'incarico risulta di fatto postumo e per Poirot non è semplice iniziare l'indagine, giustificandola ai parenti della defunta (molto diversi da quelli rappresentati nel telefilm). Al contrario, nell'adattamento uno dei nipoti della signora Arundell, Charles, è amico di Hastings e i nostri detectives sono già sulla scena del crimine, invitati a vedere una gara nautica, quando avviene il primo incidente (e poi l'omicidio) della ricca anziana signora.

Devo dire che la messa in scena è superiore al romanzo, perché agevola molto lo scorrimento della storia e la comprensione del comportamento dei personaggi. Inoltre ricrea un atmosfera veramente piacevole, che forse mi è così cara per motivi nostalgici. Il cane ha un ruolo più importante nell'episodio tv e sembra più consapevole di star comunicando un messaggio, oltre ad avere un legame affettivo con Poirot maggiore che nel libro, dove era soprattutto Hastings ad affezionarsi.

Il libro è comunque molto piacevole, una volta superato l'impasse delle presentazioni iniziali.

Giudizio: ⭐⭐⭐

L'ultima seduta spiritica (raccolta, marzo) Venti racconti, alcuni dei quali avevo letto in altre raccolte, come La bambola della sarta, abbastanza agghiacciante, e L'ultima seduta e alcuni con protagonisti gli investigatori più famosi, Poirot e Miss Marple. In questa raccolta hanno modo di emergere alcuni temi soprannaturali, che sempre hanno stuzzicato la fantasia della nostra scrittrice. In particolare le sedute spiritiche trovano spesso spazio nella narrativa della Christie, come nell'appena citato Due mesi dopo o ne Un messaggio dagli spiriti. Spesso i personaggi e le storie della Christie sfiorano lo spiritismo e le credenze, come anche in Un cavallo per la straga, e i racconti di questa raccolta toccano molti temi che torneranno in altre opere.

C'è l'egittologia, di moda tra il finire dell'Ottocento e l'inizio del Secolo Breve, che in questo volume trova Poirot a indagare su misteriose morti avvenute dopo l'apertura di una tomba a Giza. Naturalmente l'Egitto farà da sfondo anche al più celebre Poirot sul Nilo. E l'Oriente in Generale tornerà nei romanzi e nei racconti della scrittrice. Ci sono gli zingari, che saranno presenti anche in Nella mia fine è il mio principio. Ci sono sette, manipolazioni, fantasmi, insomma un po' di tutto. Alcuni racconti sono più riusciti, altri meno, ma in generale scorre molto bene ed è di piacevole intrattenimento.

Giudizio: ⭐⭐⭐

Destinazione ignota (spy story, settembre) Romanzetto di spionaggio senza infamia e senza lode che ho letto per la Sfida dello Scaffale Strabordante: un pochino annoia (è vero che non mi piace troppo il genere), ma nei dialoghi e nel finale è piacevole. La signora Hilary Craven vuole suicidarsi dopo la morte della figlia Brenda e dopo essere stata lasciata dal marito per un'altra donna. Ha lasciato l'Inghilterra per fuggire dai suoi problemi, ma i suoi fantasmi l'hanno seguita anche a Casablanca. Proprio quando sta per decidersi, bussa alla sua porta un uomo dei servizi segreti inglesi, che la coinvolge in una missione di spionaggio molto pericolosa. La verità è che per gran parte del romanzo sono descritti gli spostamenti di Hilary dentro e fuori dal Marocco e quindi per lo più annoia.

Giudizio: ⭐⭐

La strage degli innocenti (rilettura, Poirot, novembre) Sì, anche se lo avevo già letto solo nel dicembre 2021, mi è tornata voglia di riprenderlo in mano dopo aver rivisto l'adattamento con David Suchet (episodio tre della dodicesima stagione) in occasione di Halloween, per la quale trovo la sequenza iniziale adattissima. Il titolo originale dell'opera è infatti Halloween party, poiché il delitto da cui prende le mosse l'indagine ha luogo proprio durante una festa a tema per bambini dagli undici anni in poi. Una delle invitate, la tredicenne Joyce Reynolds, durante i preparativi per la festa racconta alla scrittrice Ariadne Oliver e agli altri astanti di aver assistito a un delitto anni prima. Nessuno sembra crederle, perché ha nomea di bugiarda, ma poco dopo è ritrovata morta affogata, spingendo la signora Oliver a chiedere aiuto al suo amico Poirot.

Il romanzo non è in realtà uno dei migliori né della serie di Poirot, ne della Christie in generale, perché trovo che sia un po' ripetitivo (e di conseguenza noiosetto), in particolare quando durante le indagini ripetono costantemente la teoria dello squilibrato con manie perverse, incapace di contenersi. Mi piace molto però il ritorno del sovrintendente Spence (quello che in Fermate il boia chiede aiuto a Poirot perché ritiene di aver arrestato il colpevole sbagliato) a cui stavolta è il nostro belga a rivolgersi per avere informazioni. Nell'adattamento, peraltro, non compaiono i personaggi del sovrintendente, di sua sorella, del medico, mentre sono introdotti quelli di Frances ed Edmund Drake; inoltre alcuni aspetti e il ruolo di almeno un personaggio è completamente rivoluzionato (addentrarmi oltre mi sembrerebbe spoiler, quindi leggete il libro e vedete il film!) L'adattamento, tra l'altro, ha un cast eccellente come sempre e fornisce ottime interpretazioni oltre a un'atmosfera perfetta per le storie del mistero.

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2

lunedì 2 gennaio 2023

Un'intensa storia di passioni e solitudini: Quando la notte

 Il libro di cui vado a parlare è uscito nel 2009 e io avevo visto qualche anno fa il film omonimo, uscito nel 2011 e diretto proprio dalla scrittrice, Cristina Comencini. Mi era piaciuto e, quando mi sono imbattuta a una bancarella dell'usato in una copia di Quando la notte, l'ho acquistato, ma l'ho letto solo questo dicembre nella Guforeadathonitalia e per smaltire uno dei miei libri dello Scaffale Strabordante.

Il libro alterna le narrazioni, inizialmente di capitolo in capitolo, poi di rigo in rigo, dei due protagonisti, Manfred (che nel film sarà interpretato dal mio attore italiano preferito, Filippo Timi) e Marina (che avrà il volto di Claudia Pandolfi). Manfred è un orso, un uomo solitario sulla quarantina, cresciuto col padre e i tre fratelli. Fa la guida in montagna e ha un passato difficile e doloroso alle spalle. Marina è una giovane donna, da poco diventata madre, che per ordine del pediatra porta a trascorrere un mese di vacanza in montagna. Ma il marito la raggiungerà solo al termine del periodo stabilito, per portarli poi al mare e così la donna si ritrova ad affrontare da sola le notti insonni e la vivacità dei due anni. La sua storia si intreccia con quella di Manfred perché prende l'appartamento sopra casa dell'uomo, facente parte di un'unica proprietà. Due incidenti faranno in modo di legarli uno all'altra per sempre.

Inizialmente devo dire che non mi stavano piacendo i personaggi: Manfred misogino, Marina debole. Ma più vanno avanti le pagine, e vanno avanti speditamente perché scritte con una prosa semplice e scorrevole, più si entra nei personaggi, che ci mostrano più sfumature del loro essere. La tensione tra Manfred e Marina cresce costantemente e non lascia il lettore nemmeno sul finale.

Giudizio: Appassiona molto, alla fine mi è piaciuto ⭐⭐⭐⭐