lunedì 29 aprile 2024

Da "Se i gatti scomparissero dal mondo" mi aspettavo di più

 Non so se il problema sono io. Non so se è la letteratura giapponese. Non che io e la letteratura giapponese ci frequentiamo proprio così accanitamente, a dirla tutta.

Però, in effetti, tirando un bilancio, non ci capiamo. Questa è la quarta volta (e il terzo autore) che va male. Dopo L'abito di Piume di Banana Yoshimoto, dopo i primi due libri della "Saga del caffè" di Toshikazu Kawaguchi, anche il romanzo di Kawamura Genki, di cui avevo tanto ben sentito parlare, per me si è rivelato un ni.


Se i gatti scomparissero dal mondo
è un libriccino, edito da Einaudi, di 159 pagine + glossario. 

La storia inizia quando un uomo, un postino, scopre di avere pochi giorni di vita. Riceve dunque una visita inaspettata, nientemeno che dal Diavolo, che gli propone il classico patto: giorni di vita in più, in cambio di...? [Spoiler: titoli dei capitoli.]

Si tratta di un libro-riflessione sul senso della vita e delle piccole cose che ci circondano: i film, gli orologi, i cellulari... Ogni oggetto o cosa che il protagonista analizza perché potrebbe perderla diventa spunto di riflessione. Di cosa vale la pena circondarsi? Di cosa invece no? Ogni cosa ha un pro e un contro? Probabilmente sì, tranne una: naturalmente il gatto.

Il protagonista condivide, infatti, con Cavolo una storia molto tenera, che ci verrà svelata a poco a poco (oltre a dirci molto spesso che è così incredibilmente morbido).

Perché non mi è piaciuto questo libro? Fondamentalmente perché l'ho trovato banale. Almeno per me, raccontava quelli che per me sono fatti assodati o cose scontate. Non so se la sensibilità occidentale e giapponese non si incontrano, ma quel che dovrebbe essere un testo profondo, ai miei occhi è risultato solo banalotto e sdolcinato.

Inoltre, non so è la traduzione stessa il problema o se la lingua giapponese è ripetitiva, ma mi hanno terribilmente stonato i continui sostantivi preceduti da "il mio adorato".

Lo stile di scrittura in generale è molto semplice e i personaggi sono appena abbozzati. Come mi era capitato di osservare nella serie "del Caffè", si tratta più di ruoli, di stereotipi, quasi, che di personaggi (o per lo meno li percepisco così, distanti).

Perché, invece, è un ni e non un chiaro no? Anche se molte riflessioni sono state un po' blande e alcuni concetti anche un po' ovvi, per non parlare dell'andamento del libro, palesemente svelato dai titoli dei capitoli (non ho parole!), alcuni spunti di riflessione li ha forniti anche a me.

Il protagonista, per esempio, compila la classica lista delle 10 cose da fare prima di morire e questo ha generato alcune considerazioni slegate dall'andamento della trama, di cui farò comunque tesoro. Dunque qualcosa me lo ha lasciato lo stesso, pur riconfermandomi la stessa sensazione lasciatami dagli altri (pochi) libri giapponesi che ho letto: la straordinaria rivelazione di cui parlano è più vicina alla scoperta dell'acqua calda, che a una sorsata di Acqua della Vita.

Giudizio: ⭐⭐ 1/2

martedì 16 aprile 2024

Omicidio al Grand Hotel riesce a essere un giallo classico

 Vienna, 1922: il farmacista sessantenne Anton Böch ha come inquilina l'insegnante in pensione Ernestine Kirsch, di cui è anche un po' innamorato, che lo trascina in un week end sul Semmering. Al Grand Hotel Panhans, infatti, è stato organizzato un corso di tango per ricchi membri della società viennese. Come in un giallo classico, l'albergo rimarrà isolato da una tormenta di neve e capiterà l'omicidio che permetterà alla neo coppia di detective in erba di mettersi alla prova. Tutto il mistero ruota alla prima guerra mondiale, permettendo all'autrice di raccontare qualcosa del conflitto svoltosi sul Fronte Meridionale.


Omicidio al Grand Hotel
è il primo romanzo della serie di Ernestine e Anton, investigatori dilettanti nella Vienna del primo dopoguerra. Questi gialli, scritti dalla viennese Beate Maly, classe 1970, sono pubblicati da Emons nella collana Gialli Tedeschi. Sono già stati tradotti in italiano (in ordine, come è scritto sotto ai titoli, per agevolare il lettore nel riconoscere la cronologia) anche  Morte in scena a Vienna e Omicidio sul Danubio. Poiché mi è molto piaciuto questo esordio, sono sicura di acquistare anche i seguiti. Questa (al momento) trilogia è caratterizzata anche dalle copertine, che presentano motivi Art Nouveau.

Questo romanzo d'esordio inizia in modo abbastanza lento: giustamente ci deve anche fornire l'introduzione ai protagonisti. Il ritmo non è mai forsennato, ma non annoia mai, anche perché nessuna pagina è inutile e ogni riga fornisce un'informazione mai superflua. La giallista dissemina pezzettini di puzzle per tutta la narrazione e il buon lettore di gialli ha tutto il necessario per arrivare alla soluzione del caso da solo. Io ho fallito, ma riconosco che Frau Maly ha giocato pulito. In questo il mistery è davvero costruito come un classico, col detective, gli indizi, gli interrogatori, oltre all'ambientazione (luogo isolato, solo i presenti possono aver compiuto l'omicidio).

Riguardo ai personaggi, abbiamo Anton, bon viveur, amante della buona cucina e innamoratissimo nonno. Lavora con la figlia, rimasta vedova di guerra e conduce un'esistenza serena, anche se segnata dalle esperienze del conflitto appena concluso. Queste esperienze, tuttavia, gli hanno anche fornito alcune conoscenze che si rivelano utili nello svolgere, suo malgrado, le indagini. Durante il soggiorno al Panhans preferirebbe gustare le raffinata cucina del cuoco, piuttosto che ballare il tango o intrufolarsi nelle camere altrui.

In queste avventure è, infatti, trascinato dalla travolgente Ernestine, poco meno che sessantenne, ma attiva e dalla curiosità viva. Nella "coppia" (non ufficiale, ma chissà che prima o poi non si dichiarino - questo lato romance non è marcato, ma la simpatia reciproca c'è) è lei che si lancia audacemente nelle indagini, e, da ex-insegnante, ha anche l'autorevolezza necessaria a farsi prendere sul serio dagli ospiti dell'albergo, che, ben o mal volentieri, si affidano a lei in assenza della polizia (elemento necessario a farla agire come detective).

Ernestine prende l'iniziativa e Anton si rassegna a starle dietro, preoccupato che non si cacci in guai troppo grossi: esattamente il rapporto che hanno i disneyani Bianca e Bernie.

"Non è terribilmente eccitante?" chiese, battendo le mani.

"Terribile, sì. Eccitante non saprei."

"Suvvia, Anton," aggiunse lei, rifilandogli una leggera gomitata nelle costole. "L'eccitazione mantiene giovani. Ci costringe a sforzare la materia grigia. [...] E qua non stiamo risolvendo un cruciverba o leggendo un romanzo a buon mercato, è un crimine vero e proprio!"


In conclusione ho trovato questo giallo ben fatto e molto piacevole da leggere: è leggero e abbastanza breve (249 pagine), divaga molto poco e quando lo fa, descrivendo ad esempio i deliziosi pranzetti dello chef del Panhans, è per restituite un atmosfera piacevole e rilassata.

Giudizio: ⭐⭐⭐3/4

martedì 9 aprile 2024

Oscura e Celeste: Marco Malvaldi rende Galileo Galilei un detective

Anno Domini 1631, Firenze. Imperversa la peste fra le strade della capitale del Granducato di Ferdinando II e padre Niccolò Riccardi aspetta che Galileo Galilei gli invii finalmente questo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, dove il matematico dovrebbe dimostrare la possibilità del moto della Terra intorno al Sole, già teorizzata da Copernico (possibilità che, naturalmente, non è reale, come si aspettano che scriva Galileo, a causa di quanto scritto nella bibbia). Come sappiamo, per quell'opera il matematico finirà davanti all'inquisizione.

Quel che di interessante, però, ci propone Marco Malvaldi (toscanissimo autore dei gialli del BarLume, ma anche di saggi -è un chimico- e di gialli storici -per esempio quelli di Pellegrino Artusi- e altre opere) in questo giallo storico, è la sua teorizzazione di cosa combinò Galileo in un piccolo intervallo di tempo non conosciuto, non descritto nelle lettere che scriveva alla figlia, suor Maria Celeste, proprio perché le abitava accanto, nella Villa Il Gioiello di Arcetri.


Esattamente come (vedi ultimo articolo del blog) Estleman ha trovato lo spiraglio in cui far interagire Sherlock Holmes e Dracula, nei momenti in cui il vampiro non compare nel romanzo di Stoker, nell'intervallo di tempo in cui non si hanno informazioni sulle attività di Galileo, Malvaldi ha sviluppato questo romanzo, bello intricato di trame e sottotrame. Oscura e Celeste è edita da Giunti e presenta un totale di 348 pagine.

La trama del giallo vede al centro il convento di San Matteo in Arcetri, convento di suore di Santa Chiara, tra cui le due figlie di Galilei. Nel bel mezzo della peste e degli intrighi gesuiti per capire cosa sta scritto dentro al Dialogo, una suora è ritrovata morta. Si tratta di Suor Agnese, amica di suor Maria Celeste, donna intelligente e istruita, tanto da interessarsi al lavoro di Galileo e conversare spesso con lui di scienza. Il matematico non può, dunque, esimersi da aiutare il canonico Cini (ex allievo di Galileo stesso e incaricato dal Granduca proprio di far luce su questioni poco chiare che covavano in quel convento) nelle indagini su quanto accaduto alla ragazza.

A questa storia si intrecciano altre vicende, storiche e non inventate, che Malvaldi monta abilmente insieme per poter dare un quadro del tempo, dalle scoperte astronomiche all'operato della Chiesa e dei suoi ordini di monaci e suore, passando per le condizioni di vita nei conventi e nelle città, per la politica; toccando di sfuggita anche la storia di Artemisia Gentileschi.

Lo stile dell'autore è leggero, scorrevole, soprattutto divertente; strizza l'occhio al lettore e commenta gli avvenimenti, li spiega al pubblico del Ventunesimo secolo (uno stile per tutti, insomma, anche i meno dotti, pur inserendo spiegazioni del funzionamento dell'orologio ad acqua, la dimostrazione degli indivisibili, etc, con tanto di disegni). Il linguaggio mescola comicità fiorentina (del resto alcuni personaggi parlano con inflessioni del volgo) e, nei dialoghi, un linguaggio seicentesco. Ho trovato questa scelta vincente, poiché alleggerisce molto e rende il libro fruibile in modo universale.

Va detto che, forse con lo scopo primario di ricostruire quello scorcio storico (Malvaldi acclude una vita di Galileo finale e una nota in cui spiega la genesi dell'opera), la trama gialla è molto diluita, passa in secondo piano ed è anche abbastanza semplice. Ci sono svariati elementi di mistero, tuttavia, (anche se puntano un po' tutti in quella stessa direzione). Gli interrogatori sono condotti in modo abbastanza classico, col detective (il Cini, spesso su suggerimento di Galileo) che fa le domande a ciascuno dei possibili interessati o possibili conoscitori dei fatti. Ho apprezzato questo aspetto. Anche la risoluzione finale, coi detective che svelano a un piccolo pubblico come stavano i fatti, richiama la classica situazione di un Poirot che spiega il delitto. Tuttavia, avevo capito la persona colpevole un po' troppo presto.

Giudizio: una lettura molto piacevole, un buon intrattenimento con elementi storici più riusciti e interessanti di quelli mistery ⭐⭐⭐⭐

Il mio primo apocrifo Holmesiano: Sherlock Holmes contro Dracula

Che cos'è questo titolo che suona come Godzilla vs King Kong?
No, non è una trashata. Lo aveva consigliato la bravissima Federica della pagina La stanza di Sherlock, che presenta costantemente una serie di spunti a cui è impossibile stare dietro, ma che vorrei leggere dal primo all'ultimo.
Si tratta di un romanzo breve, un apocrifo sulle gesta del detective dei detective, ossia Sherlock Holmes. Cos'è un apocrifo? Una narrazione su un personaggio letterario, ma scritta da un altro autore. 
Questo romanzo, dunque, non è di Arthur Conan Doyle, ma di Loren D. Estleman, grande appassionato delle avventure di Holmes e Watson, così appassionato che ne scrisse altre, fin da giovanissimo.

Il mio rapporto con Sherlock nasce da bambina, quando uscì la collana in edicola di Fabbri Editore con tutti i romanzi e i racconti scritti da Doyle e, a seguire, dai suoi "eredi". Non ho mai letto l'intero canone (ovvero le opere originarie, scritte dal vero creatore del personaggio), poiché ho letto solo tre romanzi su quattro e due raccolte di racconti su cinque, ma ho, certo, cominciato molto male il mio rapporto con gli scritti apocrifi. Mi fu regalato anni fa una raccolta, I casi orientali di Sherlock Holmes di Ted Riccardi, che non dovettero piacermi, poiché li interruppi a pagina 56/383. Se lo avessi terminato lo avrei considerato il primo apocrifo, ma non è andata così.
Devo dire, però, che la lettura del racconto lungo/romanzo breve di Estleman mi ha riconciliato con questa parte della letteratura, tanto che ne ho acquistati altri tre, da provare, tra cui il famoso La soluzione al sette percento (uno, pare, dei più famosi in assoluto) di Nicholas Meyer, del 1973, di poco precedente il pastiche di Estleman, del 1978.


Del resto nessuno meglio dello scrittore di gialli e western del Michigan, oggi settantenne, avrebbe potuto compiere meglio questa impresa: fu uno dei pochi autori a cui la figlia di Doyle concesse il "permesso" di continuare a pubblicare opere tratte dalla materia del padre. Vi rimando all'intervista sulla pagina di Federica, per saperne di più.

Venendo alla storia, mi piace molto il lavoro che ha compiuto Estleman. Riflettendo sul fatto che la storia di Dracula (1897), di Bram Stoker, è ambientata nella Londra del 1890, lo scrittore si è accorto che la venuta del Nosferatu nella capitale inglese non sarebbe potuta essere ignorata dal detective apparso sulle scene nel 1887. Inserendo, dunque, i due personaggi nello stesso universo narrativo, per forza di cose, si sarebbero dovuti incontrare.
Rispettando, con pochi accorgimenti (lasciando a una disputa tra i due narratori delle due distinte versioni, quella di Watson e quella del Professor Van Helsing, la discussione sulle date, col pretesto che il Professore intendeva negare l'aiuto ricevuto da Holmes), la trama di Dracula e lo stile di Doyle, Estleman ricostruisce il contributo di Sherlock Holmes alla sconfitta del Principe delle tenebre. Nei retroscena in cui i personaggi di Stoker non interagiscono col vampiro, infatti, resta lo spazio di manovra per farlo rapportare proprio al detective e al suo fedele compare.

La storia originale non è, quasi per niente, alterata e viene data per scontata. Questo breve romanzo (182 pagine, in Italia edito da Gargoyle), dunque, è solo un'integrazione, molto avvincente e che io ho trovato perfettamente in linea con la scrittura degli altri testi originali. In particolare, l'atmosfera e i personaggi di Watson e Holmes mi sembrano veramente rispettati, fatti rivivere. Mi è sembrato meno riuscito il Conte Dracula, che non mi sarei aspettata di vedere nella veste in cui compare sul pianerottolo del 221B di Baker Street. A dirla tutta, dover far collimare la nuova avventura col canone Stokeriano costringe un po' Dracula a non comportarsi come il più grande male del mondo (idea che ci siamo fatti di lui dal romanzo dell'irlandese). Potrebbe annientare i suoi due nuovi nemici, ma non lo fa (questo un pochino mi stride).

A breve mi attende il prossimo di questo autore, Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr Holmes.

Giudizio: Davvero apprezzato ⭐⭐⭐⭐

Alcuni titoli della collana Piccoli Mondi di ABEditore

 La casa editrice ABEditore si caratterizza per la pubblicazione di opere e racconti classici, goticheggianti o misteriosi, in una veste grafica molto bella. Sono libri illustrati, molto curati anche nella scelta dei caratteri e l'attenzione alla decorazione va dalla prima alla quarta di copertina, passando per la seconda, la terza e per tutte le pagine che lo compongono.

La collana Piccoli Mondi, che qui ho già portato con L'avvelenatrice di Alexandre Dumas, si compone di sedici piccoli volumetti (per ora) in formato 16 x 10 (cm), alcuni non più disponibili all'acquisto.

Durante la settimana dal 1 al 7 aprile, per smaltire un po' di libri, a seguito di alcuni acquisti compulsivi, ho portato a termine una piccola sfida: la lettura di sette libri in sette giorni. Ne ho approfittato per leggere, naturalmente, testi brevi, tra cui tre dei Piccoli Mondi che avevo ricevuto o comprato da Natale a ora.


Partiamo da La Sposa Cadavere, l'ultima pubblicazione di questa collana, che ha una copertina stupenda, interamente bianca, con la prima decorata in bassorilievo, per dare l'idea di una trina da abito da sposa, pur nascondendo i dettagli del volto di una sposa e di un teschio in alto e, rispettivamente, a sinistra e a destra.

Friedich August Schulze è stato uno scrittore tedesco, vissuto a cavallo fra Settecento e Ottocento, famoso per Il libro dei fantasmi. La raccolta Fantasmagoriana, invece, comprendeva quattro brani di altri autori e quattro suoi testi, tra cui La sposa cadavere; era a disposizione dei quattro scrittori che, nell'estate del 1816, dovevano riuscire a passare il tempo a Villa Diodati. Nel famoso Anno senza estate Lord Byron, il suo segretario John Polidori, il suo amico Percy Shelley e la moglie di questi, Mary, ebbero la pessima idea di soggiornare in Svizzera, dove non trovarono il clima desiderato, ma freddo e pioggia. Lessero quelle storie di fantasmi e Byron propose anche una competizione tra loro per scriverne. Successivamente, solo Il vampiro di Polidori e Frankenstein di Mary Shelley videro la luce, ma furono quelle storie di fantasmi a dare l'ispirazione e il là per la loro composizione.

La trama è meno lineare di quanto ci si aspetterebbe da un racconto così breve e intreccia tre livelli di narrazione. Abbiamo la classica introduzione ottocentesca di una storia, aopera di un narratore, un Marchese, non meglio definito, ma stavolta non solo mezzo narrativo, bensì personaggio, a sua volta.

Il Marchese ci racconta una visita a un suo amico, il Conte Globoda, che ha recentemente perso una delle sue figlie, Hildegarde, gemella di Libussa, dalla quale si distingueva solo per una voglia a forma di fragola. A questa storia principale, che vedrà Libussa corteggiata dal Duca Marino, si intreccia una terza storia spettrale, anche questa raccontata dal Marchese ai commensali di Globoda. Malgrado questo triplo piano di racconti, molto ben architettato e davvero godibile, il tema è quello della sposa cadavere, che torna a tormentare i fidanzati infedeli. Il fantasma della sposa, tuttavia, è accompagnato anche da altre presenze soprannaturali.

Dire di più è impossibile, tranne consigliare di leggerlo (sono solo una settantina di pagine, a cui si aggiungono un'introduzione e una postfazione della traduttrice). Aggiungo solo che il film d'animazione di Tim Burton, che si sarà senz'altro ispirato per il concetto, in realtà poco ha a che fare con la trama di questo racconto. Il film di Burton, infatti, prende soprattutto ispirazione da Il dito, racconto scritto da un rabbino nel Cinquecento, ma rimaneggiato nei secoli seguenti.

Giudizio: per me veramente un racconto molto riuscito ⭐⭐⭐⭐


Il secondo libriccino che ho letto in questa challenge primaverile è L'altra metà delle fiabe, a cura di Antonella Castello. Si tratta di un confronto acritico tra tre coppie di racconti.

La prima parte delle fiabe, infatti, contiene tre fiabe di Charles Perrault, molto note, pubblicate nel 1697 ne I racconti di mamma Oca e qui presentati nella traduzione di Carlo Collodi: La bella addormentata nel bosco, Il gatto con gli stivali e Cenerentola. Sono, come sappiamo, brevissime storie che presentano una morale istruttiva per il pubblico di bambini (e adulti) che le ascoltavano.

La seconda parte delle fiabe, invece, nella traduzione dal napoletano della stessa curatrice, che firma anche l'introduzione e la nota finale al testo, sono la controparte precedente delle stesse tre fiabe. Gianbattista Basile, infatti, aveva pubblicato il suo Lo cunto de li cunti, o Pentamerone, nel 1634. In questo caso il pubblico non è certamente quello infantile e non vi è morale, bensì una conclusione quasi cinica, un motteggio. I racconti sono Sole, Luna e Tania (che già presenta una situazione praticamente di necrofilia, che forse non turbava il pubblico Seicentesco, come, invece, turba noi), Cagliuso e, infine, Gatta Cenerentola.

Le somiglianze fra i racconti è evidente, specialmente per il secondo. Io ho preferito leggerli alternando la fiaba francese e, subito dopo, la controparte napoletana, anziché leggere in ordine la prima parte del libro, seguita dalla seconda. Le altre due fiabe si discostano maggiormente per andamento della storia, ma la materia è chiaramente comune. Per gusto attuale, i racconti di Basile sono quasi ostici, più volgari rispetto alla trasposizione più tarda. In ogni caso, soprattutto il primo racconto, per quanto a lieto fine, in entrambe le versioni è abbastanza truce, per via dell'orchessa (parte che viene rimossa totalmente, per esempio, nell'adattamento disneyano).

Giudizio: un confronto molto istruttivo ⭐⭐⭐


Il racconto della vecchia balia
di Elizabeth Gaskell (nata Stevenson), autrice cara a Dickens, che le commissionò questo racconto come strenna natalizia sulla sua rivista Household Words, è un breve racconto di una sessantina di pagine, che pertanto si legge in pochissimo tempo.

La storia accadde alla balia e alla sua protetta, i cui figli sono ora gli auditori di questa novella spettrale. Protagonista della vicenda, oltre agli umani coinvolti, è anche l'antica casa, dove si trasferiscono la balia e la sua infante, e che ha ospitato una tragedia, che rivive negli spiriti di coloro che ne furono un tempo gli attori e le vittime. Troppo piccolo è il testo per dire di più, rischiando di sciupare il senso di mistero che il racconto vuole portare.

La traduttrice fa notare (nella nota alla traduzione e postfazione, che seguono il racconto) alcuni piccoli errori, poco importanti, commessi dalla scrittrice, che in effetti si notano nella lettura, confondendo un po' il lettore. Devo dire, comunque, che non mi è piaciuto, in questa edizione, trovare la terza di copertina dedicata alla curatrice del testo, senza nessuna pagina che ospitasse una piccola biografia della Gaskell (stessa cosa che è accaduta con L'altra metà delle fiabe, dove sarebbero state due le bio da includere, anche condensate in poche righe). Ne La sposa cadavere la stessa terza di copertina era divisa fra autore e traduttrice, così come lo è nel prossimo racconto, La storia segreta di una contessa irlandese.

Giudizio: un racconto gotico riuscito e che mi è molto piaciuto ⭐⭐⭐ 1/2


Concludo questa carrellata con un altro micro racconto di circa 80 pagine (più postfazione), letto durante una sfida analoga a questa primaverile, ma compiuta solo a metà, stavolta, nel periodo di Halloween (sì, oltre alla pila della vergogna dei libri da leggere, ho anche quella dei libri di cui parlare). Si tratta de La storia segreta di una contessa irlandese di Joseph Sheridan Le Fanu, autore conosciutissimo per i racconti di fantasmi (e di vampiri, considerando il suo più famoso Carmilla), anche se questo, in particolare, non contiene spettri, ma ha comunque caratteristiche gotiche, come il topos della fanciulla imprigionata e in pericolo.

La copertina è, per me, bellissima nella sua semplicità: per cominciare ha un tono di blu molto gradevole. Il disegno di una ragnatela ospita un ragno con un teschio per corpo, ma il dettaglio che preferisco sono le scritte in oro del titolo e dell'autore e il disegno di un fiore, sempre in oro, che si sovrappone al teschio.

Anche le illustrazioni interne sono bellissime e mi piace che la corrispondenza della protagonista abbia un font corsivo speciale per differenziarsi dal resto del testo.

Il racconto è in prima persona: in una lettera rinvenuta dopo la sua morte, Lady Margaret racconta a un amico la sua avventura triste e pericolosa, accadutale dopo la morte del padre, quando fu posta sotto la tutela dello zio, che ha per lei programmi molto foschi.

Esattamente come nel caso de Il racconto della vecchia balia, l'introduzione alla storia ci rovina un po' l'effetto di sapere come si conclude la vicenda (poiché, parzialmente, lo sappiamo fin dall'inizio - probabilmente il lettore ottocentesco andava rassicurato fin da subito). Devo però dire che questo non toglie nulla al pathos e alla suspense dei due racconti. Questo, soprattutto, dopo un'introduzione un po' lenta, ha un ritmo incalzante e il lettore (o, per lo meno, io) ha necessità di leggerselo tutto d'un fiato per scoprire come va a finire. Mi è sembrato scritto con molta maestria. La sensazione che mi ha restituito è un po' quella del thriller Hitchcockiano ante litteram.

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2