lunedì 27 maggio 2024

I racconti di Bianca Pitzorno sono Sortilegi

 Bianca Pitzorno scrisse nel 1990 la storia di accompagnamento alle tavole di Piero Ventura, che raffiguravano una giovane, rimasta a vivere sola nel bosco dopo la morte della sua famiglia, a causa della peste seicentesca, e poi accusata di essere una strega.

Pochi anni fa, la storia illustrata uscita nel 1991 col titolo di Ritratto di una strega e nel 2000 come La strega di Vallebuja, è stata ripresa dall'autrice sarda per Bompiani e approfondita nella parte di racconto che fa riferimento alla vita della protagonista, Caterina, negli anni vissuti in solitudine.

Questa genesi del racconto La strega è nelle note al termine del primo racconto di questa piccolissima antologia: un totale di tre racconti, ciascuno corredato della sua nota esplicativa, e 141 pagine.


La storia del primo e più sostanzioso racconto (un'ottantina di pagine) è quella immaginata da Piero Ventura e raccontata in linguaggio seicentesco da Bianca Pitzorno. L'aggiunta all'originale, scritta con un altro linguaggio, addolcisce e aggiunge una parte magica al nocciolo crudo del racconto di un'ingiustizia perpetrata ai danni di una ragazza innocente. La storia di Caterina si intreccia a quella degli abitanti del paese di Albieri e non solo. Compaiono, infatti, anche accenni a personaggi quali Galileo Galilei e sua figlia, Suor Maria Celeste (ed è subito crossover con Oscura e Celeste, letto un paio di mesi fa).

Il racconto mi è piaciuto, ma mi ha anche provocato emozioni negative durante la lettura, dispiacere e rabbia, anche se la storia non è nuova.

In questo senso, ho forse preferito gli altri due racconti, che seppur molto più brevi, condensano alla perfezione il senso di magia che permea ogni pagina di questa raccolta, con un finale meno triste.

Maledizione (poco meno di 20 pagine) è la storia del risentimento di una donna, che ha inutilmente aspettato qualcosa tanto a lungo, da dispiacersi e vendicarsi quando ciò che desiderava tocca ad altri.

Profumo, ancor più breve (otto pagine), racconta della leggenda di biscotti realmente esistenti in un paese in Sardegna, Mughèdule, capaci di evocare sensazioni ammaliatrici.

Ho già avuto modo di apprezzare la scrittura scorrevole ed evocativa dell'autrice e queste poche pagine non fanno che riconfermarmi che la lettura di qualsiasi cosa di Bianca Pitzorno è un'esperienza piacevole e felice di suggestioni.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐

lunedì 13 maggio 2024

Ho ascoltato gli audiolibri dei primi tre capitoli della saga di Vani Sarca di Alice Basso

 Vi è mai capitato di trovare spiacevole o addirittura brutto un libro o un film o una serie, ma non riuscire a staccarvene perché vi ricorda qualcosa, ma non capite cosa?

A me è successo con la saga della ghostwriter Vani (diminutivo di Silvana) Sarca, di Alice Basso. Ci ho messo un audiolibro e mezzo a capire cosa mi ricordava e a classificare finalmente questa serie in un genere definito, ma non letterario. Perché una cosa è certa: questa serie non appartiene al filone del giallo. No, nemmeno al poliziesco all'italiana. Non solo perché nei primi tre libri non ci sono indagini su omicidi freschi (scordatevi Jessica Fletcher e l'ispettore Barnaby, che hanno almeno due morti a episodio) - cosa che potrebbe apportare un briciolo di realismo alla serie, contrapponendosi ai Don Matteo del caso, dove è irreale che Gubbio subisca ogni anno così tante perdite.

Il genere super-trash a cui appartiene è il motivo per cui poi mi ci sono attaccata, ormai in pace con me stessa, per lo stesso motivo sciocco per cui guardo i film dello stesso genere in TV.

Andiamo con ordine, partendo dal primo (audio)libro: no, non ci avrei speso soldi nel comprarli, ma ormai avevo iniziato l'abbonamento su Audible e sapevo che questa serie era piaciuta. Potrebbero seguire piccoli spoiler (meno che posso).


L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome
(il titolo, lo spoilero subito, non fa riferimento alla trama gialla, che è sempre in secondo piano ed evidentemente non interessa alla scrittrice) esce nel 2015 ed è l'esordio letterario di Alice Basso, fino a quel momento redattrice per case editrici, come la sua protagonista. Spero che le somiglianze si interrompano agli studi classici e alla carriera, perché Vani Sarca è uno dei personaggi più odiosi, saccenti, improbabili e superbi di cui mi sia mai capitato di leggere.

Si tratta di un personaggio fintissimo e non solo per la scarsa fatica che ci ha messo l'autrice a descriverla fisicamente: è Lisbeth Salander (come se io per leggere un libro dovessi essermi per forza letta la saga di Millennium, che non mi ha ancora ispirata, o visti i film). Il suo difetto principale non è neppure credersi intellettualmente superiore a qualsiasi altra creatura che respiri e dichiarartelo almeno una volta per capitolo (dal secondo romanzo in poi, perché nel primo lo fa in media una volta ogni due pagine), ma il fatto che non sia credibile per due ordini di ragioni.

Nell'esordio, che ho cercato di perdonare proprio in virtù del fatto che si devono un po' introdurre i personaggi e le dinamiche, abbiamo questa ghostwriter, abile come nessuno mai nel mondo, che lavora per Edizioni Erica. In modo eccessivamente didascalico (ossia spiattellandoti vita, miracoli e motivi di risentimento della protagonista, tutto nei primi capitoli, senza andare avanti mai con la trama ー come se in effetti ci fosse) è spiegato che Vani è sostanzialmente una profiler e un genio per natura. Non ha avuto addestramenti, lei è nata profiler: vede le persone due minuti (a volte non le vede nemmeno, le sente solo raccontare da altri osservatori, ma qui siamo ai poteri di Superman che sfoggia nel terzo libro) e sa perfettamente come si comportano, cosa pensano e quali sono le loro motivazioni e i loro punti deboli. Questo suo dono di nascita le consente con facilità di essere un camaleonte: qualche ricerca su Google e immaginarsi di essere un chirurgo o un notaio e lei è perfettamente in grado di fare quel mestiere come se lo avesse studiato per anni e sa tutto di quegli argomenti, così da scrivere i libri per la sua CE o improvvisare un contratto a prova di avvocato (eventi raccontati nei libri, non iperboli). Direi che si vede benissimo il primo motivo per cui non è un personaggio credibile: questa cosa è semplicemente assurda. C'è meno sospensione della realtà nel leggere Harry Potter!

Uno dei motivi di risentimento nella vita è essere sempre stata considerata diversa, dalla famiglia e dalla società; l'altro motivo è la sua invisibilità, soprattutto dopo aver ideato la trama del libro di maggior successo della decade, senza poterlo dire a nessuno. [Si potrebbe aprire un capitolo sull'arroganza con cui l'autrice è convinta che aver legato insieme i personaggi letterari americani in una fanfiction sia un colpo di genio e non un temino scolastico, ma lasciamo stare.]

Qualche tempo dopo l'uscita di questo capolavoro di metanarrativa americana, l'autore che figura nella firma del libro, il professore universitario Riccardo Randi, la riconosce a una presentazione e i due cominciano a frequentarsi. Da qui parte la trama del libro, che verterà principalmente su questo aspetto. Secondariamente, le viene assegnato l'incarico di scrivere il successivo libro di una sorta di medium di angeli, che finora si è occupata di libri sostanzialmente di life coaching. Quando questa donna, Bianca, scomparirà, Vani intuirà un rapimento e inizierà a collaborare con il commissario di polizia, Romeo Berganza.

Dobbiamo fermarci per due considerazioni: la prima è che succede frequentemente che Vani indovini un fatto o una sua conseguenza logica, senza assolutamente considerare le altre possibilità (il rapimento, piuttosto che un malore o un omicidio e, in una differente circostanza, la natura omosessuale o addirittura asessuale di un personaggio, piuttosto che, semplicemente, l'infertilità come causa per non aver avuto figli). La seconda è che, non appena il commissario ci viene descritto come un personaggio assolutamente degno di nota ー subito, immediatamente ー si capisce fin troppo bene che la dinamica al centro di tutti i primi romanzi sarà una sola. Riuscite a indovinare? Naturalmente, il triangolo.

Vani risolverà il caso facendo ricerche su Google per il suo lavoro (non sto scherzando, va proprio così) e improvvisandosi esperta di mediazione in caso di rapimento. Su questo essere al contempo Morgan e Reed della situazione ci torneremo. In ogni caso, la scarsa credibilità con cui il caso è risolto mi ha fatto venire il voltastomaco. Non si è trattato, come dicevo all'inizio, né del classico giallo, in cui un detective (esperto o improvvisato che sia), pone domande a dei sospetti (presenti fin dall'inizio e tra cui si nasconde il colpevole, come vuole la prima regola del decalogo di Knox, sennò è giocare sporco), né il poliziesco italiano in cui comunque ci sono delle indagini da seguire, anche se più in base all'ispirazione del protagonista che a una logica ferrea, che possa seguire anche il lettore. No: mentre Vani è presa a fare cose che riguardano la sua vita sentimentale, di sfuggita le scappa anche di risolvere il caso, così, per sbaglio. Il responsabile compare anche tardissimo, praticamente a fine libro!

Questo è a tutti gli effetti un romanzo rosa o, se vogliamo dirlo altrimenti, sono le avventure di Vani Sarca. Non è un giallo e, secondo me, è troppo indirizzato verso il pubblico femminile (e non tutto).

A questo punto avrei volentieri smesso di seguire la serie, eppure ho proseguito...perché? La risposta più probabile è che semplicemente io sia una masochista. La seconda risposta è che volevo vedere se avrebbe continuato come romanzo rosa o si sarebbe ricordata la pretesa di essere altro. La terza risposta, quella che mi do per salvare le apparenze, è che il primo libro di una serie ha una storia a sé e, per non fare come ho già fatto con Petra Delicado e Clara Simon, forse gli si può dare una seconda possibilità. Ormai ce lo aveva già chiarito l'autrice, in ogni modo, che Vani è super capace in quel che fa, no? Non ci sarà mica bisogno di ribadirlo ogni piè sospinto anche nel secondo libro?

C'era bisogno, evidentemente.

Scrivere è un mestiere pericoloso (tranquilli, i titoli sono tranquillamente intercambiabili, perché non si riferiscono mai alle indagini) vede ormai Vani alternare due lavori: quello di ghostwriter nella sua casa editrice e quello di consulente della polizia, come esperta in comunicazione. Gli incarichi lavorativi convergono, in questo caso, poiché, mentre deve intervistare la vecchia cuoca, ormai vicina alla demenza senile, della famosa famiglia di sarti torinesi Giay Marin, questa rivela che è stata lei a uccidere il primogenito della famiglia, Adriano, cinque anni prima, e non il di lui fratello, Aldo. Vani, dunque, deve da un lato raccogliere aneddoti e ricette della signora Irma Envrim, dall'altro verificare che abbia dichiarato la verità e che non abbia ammesso l'omicidio solo perché svanita e perché abbia atteso cinque anni per farlo.

Ci troviamo stavolta di fronte a un cold case, la cui risoluzione spezza un'altra delle regole del buon Knox, la quarta: un lettore che non conosce quel che spiega Vani, non potrebbe mai risolvere il mistero (e in pochi credo che conoscono la tecnica di cui parla).

In ogni caso, finalmente, in questo libro ho capito il genere a cui appartiene questa serie e l'ho scoperto quando Vani è invitata al ballo di Natale dai Giay Marin, che le mandano un principesco abito su misura per l'occasione. Vi fa venire in mente niente?

A me ha ricordato gli scadentissimi film televisivi, con trame tutte uguali, della casa di produzione canadese Hallmark (quelli spesso a tema natalizio che TV8 trasmette da mattina a sera dall'avvento a Pasqua, per intendersi).

Come già detto, questi libri trattano delle avventure sentimentali della protagonista, che si ritrova in romantici appuntamenti a pranzare in riva al fiume o, a sorpresa, in una pasticceria di lusso, oppure, "costretta" a prendere ripetizioni di cucina, sempre romantiche, perché deve scoprire se le ricette della vecchia Irma sono davvero come gliele ha dettate. Decisamente una sceneggiatura Hallmark.

Arresami a questa evidenza (chi è che non si perde a guardare quei filmastri, pur consapevole che sono prodotti di infima qualità e tutti uguali), non ho esitato ad ascoltarmi il terzo libro, per scoprire come si concludeva il triangolo amoroso. Infatti, ora che lo so, non ho più motivo per ascoltare anche il quarto e il quinto romanzo, anche se per spirito di completezza potrei intrattenermici mentre guido andando a lavoro.

Non ditelo allo scrittore prosegue sullo stesso filone del secondo libro. Da un lato Vani deve riuscire a rendere intervistabile un professore saccente, scontroso e maleducato, che si è scoperto essere il vero autore di una delle opere più importanti della letteratura; dall'altro la polizia deve scoprire chi è la talpa in un caso di mafia. La risoluzione di questo aspetto presenta la solita inverosimiglianza degli altri due casi e riemerge, quasi identico, il modo di risolvere il sequestro di Vani. La cosa che non mi torna è che, se in Criminal Minds ci sono vari agenti che hanno caratteristiche diverse, la cui combinazione consente di risolvere quasi tutti i crimini e prendere quasi tutti i cattivi, Vani invece non opera in squadra: è la mente e l'esecutrice. Si comporta sia come l'agente Reed, che ha dalla sua sconfinate conoscenze, sia come Morgan, che ha l'eroismo e l'intraprendenza, ma anche come l'empatica Prentiss oppure come il capo della squadra, Hotchner. Come già rilevato, questo aspetto duplice (perfino multiplo) incarnato nello stesso personaggio, già telepatico e onnisciente, è uno dei motivi di poca credibilità della figura; ma veniamo, finalmente, al secondo motivo.

Questo emerge un po' nel secondo romanzo e, più marcatamente, nel terzo: Vani, infatti, è al contempo sia un genio, sia completamente stupida, al punto da non cogliere il significato di quello che le dice lo spasimante, sul procinto di dichiararsi per tutto il libro, con affermazioni perfettamente comprensibili e interpretabili in una sola direzione, tranne che per la destinataria. Sia chiaro, non c'è sorpresa nello scioglimento di questo triangolo, ma il fatto che Vani caschi dal pero, forzando questo sdoppiamento di personalità per cui è un profiler superiore a tutti in ogni aspetto della vita, tranne che nelle relazioni sentimentali, è il secondo ordine di mancanza di credibilità.

Quest'opera mi ha fatto arrabbiare praticamente per tutto il corso dell'ascolto e non ci avrei perso tempo, se si fosse trattato di leggerlo. Il primo romanzo, in particolare, l'ho detestato. Gli altri due si riprendono un po', ma è pesantissimo sentire continuamente l'autrice sperticarsi in descrizioni di quanto è brava Vani, compreso dover psicoanalizzare gratis un tizio che incontra in macchina mentre va dalla sorella (ma c'è anche l'episodio delle due amiche al bar). Cosa dovrebbe essere, show don't tell? Non lo è, perché è ridondante e contraddetto subito dal fatto che Vani si autodichiara la numero uno in quel che fa, moltissime volte, cosa veramente pesante. Si riconferma, per me, l'antipatia per i personaggi che raccontano in prima persona. Non è la prima volta che constato che, all'opposto di avvicinarli al lettore, li rende più antipatici.

Anche i personaggi sono problematici: sono divisi in due gruppi, quelli che stanno antipatici a Vani e sono, pertanto, quasi integralmente negativi e quelli che le sono simpatici e, dunque, sono positivi. La via di mezzo c'è, ma è rara, anche perché la protagonista si circonda solo da pochissime persone, che vedono le cose a modo suo (e sono superiori alla media ー vogliamo dimenticare il primo romanzo in cui l'autrice ripete 2-3 volte che Berganza è un poliziotto davvero, ma proprio davvero, in gamba?) o proprio le somigliano caratterialmente.

Tutti gli episodi della Vani bambina o ragazzina mi sono rimasti indigesti: sostanzialmente si tratta, ancora una volta, di una ripetizione. L'avevamo capito nel primo libro che si sentiva incompresa a casa. Gli altri flashback, in terza persona, sono solo varianti delle prime.

Ma questi libri ce l'hanno qualcosa che li salva? Sì. La scrittura non è male, anzi, togliendo il suo essere didascalica fino al sottolineare due volte l'ovvio e le ripetizioni della bravura di Vani, è addirittura buona.

Giudizio: intrattenimento Hallmark, validissimo, per carità, ma non quel che ci si aspetta ⭐⭐

lunedì 6 maggio 2024

La donna in bianco è il libro più bello di Wilkie Collins?

 Premessa, dell'autore inglese, grande amico e collaboratore di Charles Dickens, La donna in bianco (1859) è il secondo libro che leggo, oltre al tanto atteso La pietra di luna (1868). Adesso so che voglio leggere tutto ciò che lui abbia scritto e su cui si possano mettere le mani, anche se non nella nuova edizione Fazi.

Confermo infatti il mio disappunto per l'edizione del bicentenario dalla nascita dello scrittore: oltre all'assenza di una vera prefazione, anche in questo caso ci si limita a due note dello stesso Collins (le sue prefazioni alla seconda edizione inglese e all'edizione francese, comunque molto interessanti sulla genesi dell'opera), di una vita dell'artista e soprattutto di un indice (santa pazienza!!!), noto anche alcuni punti in cui mi si stanno scollando le pagine dal dorso (all'inizio e alla fine).

L'indice sarebbe veramente necessario, poiché le pagine sono tante (840) e il racconto procede, come La pietra di luna, per testimonianze, cambiando il narratore. Ci spiega Collins, infatti, che rimase colpito dal modo in cui in un tribunale ogni testimone apporta la sua visione dei fatti e contribuisce a ricostruire una vicenda, sia pure per punti di vista diversi e, talora, inconciliabili.


La donna in bianco
è raccontata esattamente in questo modo: per lungo tempo dal punto di vista di due dei suoi protagonisti, ma in qualche momento servendosi della narrazione di personaggi secondari o marginali. Per ritrovare nel corso della lettura un punto in cui un personaggio ha detto o fatto qualcosa che mi tornerebbe comodo rinfrescare, il sacro sommario avrebbe fatto proprio comodo!

Il mistero, che rende questo un libro un giallo in senso lato, ancora una volta molto più simile a un romanzo di avventure, pubblicato a puntate su All the Year Round (la rivista di Dickens), è la misteriosa identità di una donna vestita di bianco, della quale solo alla fine del libro si conosceranno tutti i segreti (anche se qualcuno si può sospettare prima).

Questa donna viene incontrata, tra le strade di Londra, da uno dei nostri protagonisti, Walter Hartright, la notte prima di partire per Limmeridge, nel Cumberland, dove farà da maestro di disegno alle due sorellastre Laura Farlie e Marian Halcombe. L'identità della donna e i segreti che custodisce si legheranno in molti modi a questi personaggi, generando praticamente un thriller in cui il lettore sospirerà d'angoscia e patirà molte pene insieme ai protagonisti.

Una delle caratteristiche più spiccate nella narrativa di Collins, infatti, è proprio lo straordinario modo in cui rende vivi i personaggi, caratterizzandoli a tutto tondo, mostrandoceli negli atti e nei sentimenti. Ritengo quasi impossibile non affezionarsi loro e non partecipare con ansia alle loro vicende. Nella stessa prefazione, infatti, l'autore ci racconta:

"Le due protagoniste, ad esempio, Laura e Miss Halcombe, riscossero una tale simpatia che, quando a un certo punto della storia l'una o l'altra sembravano in qualche modo minacciate, ricevetti numerose lettere che, molto seriamente, mi pregavano di «salvare le loro vite»!"

Non è cambiato nulla, credo, in questo, col passare degli anni, anche se si tratta di un secolo e mezzo. Ritengo, infatti, questo romanzo molto più un thriller che un giallo, per la suspense che riesce a creare lo scrittore. Le mie parti preferite, in effetti, sono state proprio quelle relative alle due donne e scritte attraverso il diario di Marian.

Quel che è cambiata, senza dubbio, è la nostra sensibilità su altri aspetti, per esempio la questione femminile. Di Marian si fa fin da subito un ritratto molto appassionato ed è sempre mostrata come una donna fuori dall'ordinario per tempra, coraggio, forza e astuzia; un esempio da ammirare, una vera eroina, che ci viene contrapposta, però, alla normalità delle altre donne e questo sia per sua bocca, in una delle prime scene che la vedono interagire con Walter, sia in generale, poiché è spesso paragonata, trovandola simile, a un uomo. Lungi da me rimproverare di questo un uomo che è nato duecento anni fa, però anche ne La pietra di luna uno dei personaggi, Betteredge, esprime compassione per la pochezza delle donne, riferendosi in particolare alla moglie. In quell'occasione non diedi troppo peso alla cosa, perché questa era l'opinione di un anziano servitore, ma, trovando questo pensiero ripetuto, comincio a notarlo con maggior fastidio, mentre in altri romanzi, anche di quel periodo, non avevo ancora trovato quest'opinione così schiettamente espressa. Leggerò altri uomini del tempo e cercherò meglio se ne hanno scritto con tanta chiarezza.

In ogni caso questa è la sola nota dolente, se proprio se ne deve trovare una. Alcune rivelazioni o colpi di scena nel romanzo, possono, inoltre, apparire un po' scontate per il lettore di oggi, ma -come la questione femminile- va calata nel contesto in cui è stata scritta l'opera, agli albori di questo genere letterario. Sono pertanto i nostri scrittori contemporanei a non aver inventato nulla, anche se, forse, ne sono convinti.

A me La donna in bianco è piaciuto pazzamente: intriga, emoziona, ha personaggi fatti molto bene (elemento che avevo riscontrato già in La pietra di luna e che ha spinto i lettori di allora a chiedere a Collins chi erano le controparti nella realtà di Marian -per sposarla- o dell'ambiguo Conte Fosco). Ha un'atmosfera di mistero e pericolo che avvince e invita alla lettura, eppure anche nei momenti di massima paura per le sorti dei personaggi, c'è qualcosa di confortevole. I colpi di scena non mi sono sembrati scontati. La trama (e la sua struttura), in ogni caso, è l'elemento più riuscito di tutti. Pur, ormai, non riuscendo originalissima, è così ben costruita che a ogni cambiamento di situazione nasce un nuovo "riusciranno a...?". Anche i più osannati autori di thriller di oggi non riuscirebbero a fare altrettanto.

Personalmente, inoltre, ho trovato più intrigante (e mi è piaciuto di più) questo romanzo, rispetto a La pietra di luna: diciamocelo, un furto non è un argomento così interessante, come il pericolo di un omicidio 🙊. Poiché, però, ho trovato molto bello anche l'altro romanzo, paradossalmente consiglierei di approcciare la lettura di Collins da La pietra di luna e proseguire in crescendo con La donna in bianco. Nel frattempo mi sono procurata usata la raccolta di Sellerio Tre storie in giallo.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐⭐

domenica 5 maggio 2024

Luis Sepulveda ci porta le Ultime notizie dal sud

 "Sognavo e ancora sogno quella macchina a vapore. Non so se sono un uomo coraggioso, ma so che non temo la morte perché l'ho sempre vista legata alla vecchia locomotiva. Mi aspetta su un binario deserto, io infilo le ultime monetine nella fessura, le bielle iniziano a muoversi, escono sbuffi di vapore, salgo senza voltarmi indietro e me ne vado. Tutto qui."

Con parole sognanti, Luis Sepulveda ci accompagna ancora una volta in Patagonia. 


Come in Patagonia Express (1995), nato dall'incontro con Bruce Chatwin a Barcellona, l'autore cileno, armato di una moleskine, ripercorre, a distanza di anni (2011), i paesaggi della Terra del Fuoco, immortalati dalle fotografie di Daniel Mordzinski, e racconta alcuni episodi di quel che lui e il fotografo hanno visto, incontrato, vissuto nel viaggio intrapreso insieme nella seconda metà degli anni Novanta, al di sotto del 42° parallelo.

Lo scrittore ci spiega subito che sono stati gli ultimi testimoni di molto di ciò che videro e che adesso non c'è più, probabilmente cancellato, abbattuto dal progresso. La testimonianza di una Patagonia selvaggia e perduta rende, dunque, ancora più preziosa la lettura di Ultime notizie dal Sud (161 pagine, Guanda), già resa speciale dalle numerose fotografie presenti.

Gli episodi raccontano di luoghi sperduti e di persone che resistono all'avanzata del progresso contrapponendo i loro diversi e antichi modi di vivere: dal triste addio all'amico e scrittore Osvaldo Soriano, a cui il libro è dedicato, al liutaio che cerca il pezzo giusto per il suo lavoro, passando dalla signora Delia, dal primo artigianato cinematografico della Patagonia e dall'ultimo viaggio del Patagonia Express.

La scrittura di Sepulveda è sempre poetica e soave, ma si avverte non poca rabbia, quando l'autore denuncia i cambiamenti imposti da una nuova modernità asettica e incapace di comprendere i bisogni di chi vive veramente quei luoghi, come quando racconta l'impossibilità di scoprire a che ora parte il treno per la Patagonia, perché le ferrovie sono state privatizzate e la nuova burocrazia ha perso il contatto con la realtà e con la gente. Ancora più dura la critica agli stranieri, che non comprendono la terra che comprano, ma hanno denaro sufficiente per farlo e dunque possono prendersi gli appezzamenti che desiderano, cacciando i locali, o requisire il treno che serve agli abitanti del villaggio di El Maitén per raggiungere i servizi principali di Esquel.

Personalmente, ho trovato questo libro molto bello, sia per la scrittura di Sepulveda, piacevole e appassionata, sia per la sua straordinaria sensibilità nel raccontarci questi episodi surreali e magici di un mondo che sembra non esserci più. Mi è piaciuto e lo raccomando (come Patagonia Express e per gli stessi motivi) per leggere di avventure estremamente distanti dal nostro modo di vivere, restituite intatte nella loro atmosfera e nel loro sapore autentico.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐