martedì 28 novembre 2023

Che genere di romanzo è Il monaco di Matthew Gregory Lewis?

 Il Monaco di Matthew Gregory Lewis è un libro ben strano.


Se Lewis, diplomatico inglese coevo e conoscente di Byron e Shelley, non l'avesse scritto in dieci settimane, durante le quali si trovava all'Aja, i vari stili che si ravvedono nelle tre parti che lo compongono avrebbero fatto pensare a una genesi molto più lunga.

Critici letterari più competenti di me hanno già esposto il perché questo romanzo sia stato a lungo dimenticato prima che tornasse in auge per gli elementi gotici che lo caratterizzano. Così spiega Mario Praz nell'introduzione -tutta spoiler- che si legge già sulla quarta di copertina dell'edizione Einaudi del 1970 che ho preso in biblioteca per partecipare a un gruppo di lettura sul romanzo gotico, per l'appunto.

L'edizione non brilla neanche per la traduzione. Comunque vuoi per colpa di questa, vuoi perché era proprio Lewis che scriveva così, questo libro mi sembra proprio diviso in tre parti completamente diverse, ma andiamo in ordine.

La storia verte su tre "coppie" di personaggi principali, introdotti un po' per volta nel primo volume. Da un lato abbiamo la storia di Lorenzo de Medina, che si innamora della bella Antonia, figlia di Elvira, moglie di un nobile ripudiato dal padre proprio per via del suo matrimonio; dall'altro abbiamo Raimondo de las Cisternas, proprio cognato di Elvira, innamorato di Agnese, sorella di Lorenzo. Per l'appunto e casualmente, le strade di queste coppie si incrociano e il romanzo racconta le loro disavventure. La terza coppia di personaggi, che chiude il quadro, è quella del religioso da cui deriva il titolo del libro e del suo complice e tentatore. L'avvio del primo capitolo, infatti, ci mostra un cappuccino Ambrosio, venerato come santo a Madrid, che predica nella chiesa dove (che casualità proprio!) si conoscono Lorenzo e Antonia. Alternata a quella degli altri personaggi, si dipana nel libro anche la sua storia: quella di una perdizione. Da uomo considerato puro, illibato, estraneo a tentazioni e al peccato, a poco a poco precipita in una spirale sempre più profonda e ripida di corruzione. Procedendo in modo graduale Ambrosio cede prima a peccati più lievi, poi via via più gravi, preceduti da esitazione, tentennamento e seguiti da rimorso e costrizione, ma questi sempre minori man mano che perde il rispetto di Dio e del mondo. Vedendo che nel peccare non riceve punizione, rinnega uno alla volta i suoi primordiali ideali, vigliaccamente pensando che comunque ha "solo fatto questo" o "solo fatto anche quest'altro", ma che tutto sommato non va tanto male.

Mi è piaciuta la descrizione di questo processo, proprio graduale, di compromissione della sua integrità, in precedenza tanto vantata. Tuttavia la parte che ho preferito nel romanzo è quella cavalleresca-avventurosa che riguarda Raimondo e che comprende tutti i capitoli terzo e quarto. Questa limitata parte è simile ai romanzi di cappa e spada e, come genere, mi ha fatto tornare in mente Ivanohe o certe parti dei Promessi Sposi (che non è di molto successivo e che riguardo la Monaca di Monza può persino essere stato influenzato) o dei Tre Moschettieri, eccetto che per l'introduzione del primo degli elementi gotici, una storia di spettri.

Nei capitoli precedenti, soprattutto nel secondo, ma anche nella descrizione delle sensazioni di fronte ad Ambrosio, a essere proprio onesti, ci ho trovato alcune caratteristiche dell'harmony (che poi è il motivo per cui è stato messo da parte e considerato uno scandalo ai tempi in cui fu scritto). Questa parte l'ho trovata scritta male, con un brutto stile e non mi è piaciuta per niente.

Il libro però poi cambia ancora e col terzo volume diventa improvvisamente molto crudo (e lo diventa sempre più) e si susseguono una serie di orrori ai quali non ero preparata, dato il tono molto diverso dei capitoli precedenti, che mi avevano appunto fatto pensare alla classica storia cavalleresca in cui tutto sembra andar per il peggio, ma alla fine arrivano i buoni e la situazione volge al meglio. Alla fine l'ordine delle cose è ripristinato, ma non come mi sarei aspettata. 

Riguardo alle idee che Lewis lascia trapelare nella scrittura, o che per lo meno a me è sembrato di cogliere, da un lato abbiamo una certa avversione nei confronti delle figure religiose, qua rappresentate in buona parte come corrotte, cattive e ipocrite, fintamente devote, ma in realtà operanti solo per proprio tornaconto, per ricchezza o comunque contro i principi della vera religione. Il biasimo sembra comunque comprendere anche la superstizione, la credenza in santoni o reliquie magiche.

"Sapendo che tra coloro che cantavano le lodi del loro Dio con tanta dolcezza ve ne erano alcune che ammantavano con la devozione i più orrendi peccati, i loro inni non gli ispiravano che abominio per tanta ipocrisia. [...] Il suo buonsenso gli aveva rivelato gli artifici religiosi, la grossolana assurdità dei loro miracoli, dei loro prodigi, delle loro false reliquie."

Dall'altro lato c'è un tema che non poteva essere trattato diversamente per l'epoca in cui è stato scritto. A un certo punto è messa in bocca a una donna una frase che sarebbe stata molto all'avanguardia:

"Colpa hai detto? In cosa consiste, la nostra, se non nell'opinione di un mondo malevolo?"

Peccato che il personaggio è condannato dalla narrazione: si tratta di una strega, di una tentatrice, da ritenere colpevole e da punire. E questa colpevolizzazione della libertà femminile (anche se il contesto è più complesso di come lo descrivo adesso, limitandomi per non fare spoiler - a differenza di Einaudi) cade anche su un altro personaggio. Se dapprima è descritto un rapporto pre-matrimoniale individuando nell'uomo il seduttore, dopo è la moglie a dover rassicurare il marito che non l'avrebbe mai più ceduto a certe brame. Inoltre ogni macchia, ogni colpa di una donna in questo senso non è perdonata. Le prove sono cancellate. Non c'è altra soluzione a parte un matrimonio riparatore e se non può esserci, è il personaggio che è cancellato.

Qua ancora mi viene in mente che l'autore scrivendo abbia stabilito via via cosa far capitare e che non avesse le idee chiare inizialmente. Così si spiegherebbe il brusco cambio di stile e perché una certa situazione che era sempre stata sventata, poi invece si è concretizzata (lasciandomi sbigottita). Ci sono poi alcuni personaggi inseriti all'inizio e mai più comparsi e anche personaggi non introdotti inizialmente e poi calati in tutta fretta e fatti accettare al lettore a forza, per sistemare il cambio di rotta.

A cambiare con estrema velocità sono anche i sentimenti dei personaggi, quelli di Ambrosio soprattutto, che è proprio volubile, rendendosi quasi ridicolo, un vero fantoccio preda di ogni istinto, di ogni colpo di vento, sempre più forte della sua volontà, dei suoi cosiddetti principi.

Venendo agli elementi gotici, questi sì, ci sono: dapprima solo nella narrazione di Raimondo, un elemento isolato. Poi compare la magia (nera naturalmente). Infine donne sepolte vive come se piovesse.

La scrittura è comunque scorrevole e nel narrare l'azione Lewis è stato abile a tenere il lettore incollato alla pagina. Oltretutto l'autore cambia il focus su un personaggio proprio sul più bello. La storia ricorda un po' una telenovela spagnola per qualche dinamica familiare e sentimentale, peccato che poi volga in tragedia. La stessa ambientazione spagnola forse non è un caso: fatti così incresciosi era meglio farli apparire distanti ed esotici.

Giudizio: se non si fosse capito non m'era piaciuto. Si salva certo qualcosa, soprattutto la scorrevolezza e la presa delle vicende. Volevo davvero conoscere la fine delle vicende di Raimondo. Tuttavia non mi è piaciuta per niente la prima parte e sono rimasta turbata dalla terza. La novità o la bontà rappresentata dall'atmosfera gotica non mi basta a salvare questo pasticcio di generi.

sabato 25 novembre 2023

Il tema dell'identità in Uno, nessuno, centomila

 Il teatro di Pirandello mi ha sempre offerto sulla carta o sul palco storie meravigliose, originali, ingegnose, in grado di illustrare paradossi dell'animo e della società. Inoltre propone modelli innovativi di teatro, di messa in scena; fa da apripista a un metateatro che influenzerà molto gli scrittori suoi conterranei dopo di lui. Si pensi ai Sei personaggi in cerca di autore e alla sua influenza su Riccardino di Andrea Camilleri, che ha chiuso la serie di romanzi del commissario Montalbano in base a questa filosofia (ma in modo del tutto insoddisfacente per me).


Il teatro pirandelliano l'ho scoperto soprattutto da adulta, recandomi alla Pergola a Firenze, mostratomi da attori come Gabriele Lavia o Sebastiano Lo Monaco. Ma i romanzi e le novelle di Pirandello, invece, mi sono state insegnati a scuola, al liceo, a opera di un'insegnante che non mi ha mai trasmesso nessun amore per nessuno degli argomenti trattati in quel contesto. Sono stata fortunata a essere già stata interessata dalla letteratura prima di incontrarla e a portare avanti le mie passioni a prescindere da lei.

Così accade che il secondo romando di Luigi Pirandello che ho letto (dopo Il fu Mattia Pascal a scuola che mi piacque, ma non abbastanza da non meritare una seconda lettura riparatrice) è Uno, nessuno, centomila alla veneranda età di 33 anni.

Acquistato molti anni fa, poiché in una edizione economica della Giunti, solo in una sfida di lettura di 7 libri in 7 giorni, ho colto l'occasione di recuperarlo.

La storia è famosa: guardandosi allo specchio Vitangelo Moscarda nota per la prima volta un piccolo difetto del naso e scopre che la moglie conosceva perfettamente quell'aspetto e molti altri che lui non conosceva. Moscarda si rende dunque conto che l'aspetto che lui immagina per sé non è quello che gli altri hanno in mente di lui. Si scatena così una serie di riflessioni, che occupano soprattutto la prima parte del libro, sulla soggettività delle impressioni che ognuno ricava dall'immagine e dal carattere di una persona, che genererà tante "persone" quante sono gli individui che hanno a che fare con quella persona e che da essa ricavano impressioni sempre diverse e personali.

Questo aspetto filosofico sull'identità e sull'impossibilità di cogliere mai l'interezza dell'altro (e con cui esso possa riconoscersi) e nemmeno di sé stesso, generando immagini sempre diverse e incomplete di qualcuno mi ha incantata. Non solo è di mio interesse, ma è anche scritto e spiegato benissimo.

La seconda parte del romanzo tratta invece delle conseguenze di queste riflessioni di Vitangelo sulla sua vita: questa parte mi è piaciuta meno e ha un finale piuttosto triste, eppure coerente.

Giudizio: ho adorato tutta la parte psicologica del romanzo e ho trovato geniali e a volte divertenti molte riflessioni. ⭐⭐⭐ 3/4

Il primo libro della trilogia di Fairy Oak: il segreto delle Gemelle

Non disdegno mai la letteratura per l'infanzia e per ragazzi, che solitamente riempie gli occhi di mondi incantati, ambientazioni immaginifiche e buoni sentimenti, che sono poi il motivo primario che mi spinge a ricercarla: leggere testi in cui nobili valori sono insegnati ai giovani protagonisti in formazione mi fa sentire confortata, al sicuro, serena. Così mi sono tuffata contenta in questa saga scritta dalla nostrana Elisabetta Gnone, creatrice di universi fiabeschi come quello di W.I.T.C.H. Come questo fumetto, anche la saga di Fairy Oak ha conosciuto ampio successo e non solo in Italia.


Vaniglia e Pervinca Periwinkle sono due gemelle che abitano con la loro mamma Dalia, il loro papà Cicero e loro zia, la celebre Strega della Luce, Lalla Tomelilla, in un villaggio dove vivono in pace abitanti magici e non magici: Fairy Oak.

La storia è raccontata dalla fata-tata, Felì, diminutivo del reale nome Sefelicetusaraidirmelovorrai (leggere i nomi completi delle fate è uno dei piaceri di questa lettura e questo è particolarmente simpatico perché si declina a seconda di chi parla). Questa fata è assunta nella famiglia Periwinkle prima della nascita delle gemelle, perché le vigili e le protegga. Suo compito di baby sitter è anche di scoprire se le ragazze dimostrano segni di magia e di relazionarlo ogni sera alla sua datrice di lavoro, Tomelilla, da cui eventualmente potrebbero ereditare i poteri magici.

In meno di trecento pagine (nella mia edizione Salani 279) siamo catapultati nel mondo allegro di Fairy Oak, con i suoi caratteristici abitanti e i loro usi. Questo primo libro introduce i personaggi e il contesto in cui si ambienteranno i due successivi capitoli, ma non è privo di un po' di azione (a dirla tutta sul finale mi ha anche emozionata). Non tutto, infatti, scorre tranquillo fra lezioni, feste di compleanno, innamoramenti e ripicche a Fairy Oak: un oscuro pericolo incombe e coinvolgerà tutto il villaggio.

Le gemelle sono proprio come il giorno e la notte e su questa caratterizzazione degli opposti si gioca tutto. Tuttavia nessuna delle due incontra la mia simpatia: in quanto bambine, prima di tutto, sono leggere e disobbedienti (il che sarebbe a loro favore, se non fossi un'adulta e dunque non riuscissi a immedesimarmici).

Vaniglia, detta Babù, è gentile, ma impacciata e tende leggermente verso il vittimismo, che è quanto mi dispiace del personaggio. Apprezzo invece la sua mania nei confronti degli oggetti, che me la rende vicina.

Pervinca invece non mi piace proprio: per differenziarla dalla femminile Vaniglia (proprio uno Yin), la descrivono più spavalda e maschile (Yang), anche un po' scontrosa.

Come già detto, questa differenza grossolana occorre alla trama, però avrei preferito se la loro caratterizzazione le avesse differenziate senza ricadere proprio in questo contrasto bianco-nero quasi taoista. Anche gli altri personaggi sono abbastanza poco sfaccettati, ma forse ancora non si è entrati nel vivo della storia. Felì tende a essere perfettina, è un modello di fedeltà e responsabilità. Ho avuto più simpatia per Cicero, per Tomelilla e per il Mago del Buio Duff, il cui nipote ho trovato, invece, abbastanza scialbo e privo di una vera caratterizzazione (ma appunto, forse è solo presto).

La scrittura di questo libro è scorrevolissima e piacevole. Il linguaggio incontra il mondo fatato e se ne fa portatore. Sono molto curiosa di leggere il prossimo volume e inizierò presto!

Giudizio: piacevole, una serena lettura ⭐⭐⭐⭐

giovedì 23 novembre 2023

Il primo libro di Stefano Tura e il suo sequel a distanza di vent'anni

 Da qualche anno seguo le edizioni di Cesenatico Noir, festival della località romagnola che ospita gli interventi di autori che presentano i loro libri gialli, thriller e noir e molto altro. Il direttore artistico e presentatore del festival è il giornalista bolognese Stefano Tura, che è stato per anni corrispondente dall'estero di testate giornalistiche importanti e della Rai.

Nel corso del festival è possibile acquistare e farsi autografare i libri degli autori e molte librerie di Cesenatico partecipano comunque alla manifestazione mettendo a disposizione copie già firmate: è con una di queste copie che ho conosciuto la scrittura di Stefano Tura.

Ho scelto il suo romanzo d'esordio, Il killer delle ballerine, scritto ben 22 anni fa, nell'edizione che conteneva anche il breve sequel scritto nel 2020, L'ultimo ballo. Trovavo interessante poter osservare l'evolversi della scrittura di uno scrittore a circa 20 anni di distanza.


Sono rimasta dunque molto delusa da quanto ho trovato leggendo: lo stesso Tura, al termine del primo romanzo, ammette che non ha modificato nulla nella riedizione del testo, anche se avrebbe potuto migliorarlo.

Nella riviera romagnola all'apice del suo lustro, tra cubiste bellissime di discoteche scintillanti, si aggira qualcuno che toglie la vita ad alcune di loro. Si tratta di omicidi terribili, crudi, raccontati con dovizia di particolari (pure troppo per i miei gusti). Il giornalista Luca Rambaldi si aggira anch'egli sulle scene dei delitti e ottiene il permesso di intervistare l'uomo che era già stato arrestato per quegli omicidi, che però non si sono mai fermati.

Cosa non funziona in questo thriller? 

Non mi piace la scrittura, soprattutto i dialoghi, che sembrano sempre un po' finti e banali.

Questo è il principale problema, ma la struttura non è migliore: il protagonista "fa cose", il killer gli fa minacce che palesemente non attuerà mai perché l'autore l'ha rivestito di una plot harmor spessissima. Più volte ha l'occasione di acciuffarlo, ma Luca gli scappa in modo quasi imbarazzante. Inoltre il killer compie un rapimento che non ha alcun senso e che non gli porta alcun giovamento. Mi è piaciuto così poco che quando ho letto L'ultimo ballo, a distanza di due mesi, nemmeno ricordavo il finale.

Il sequel è molto breve e, dunque, c'è poco margine per giudicare, ma lo stile non sembra cambiato drasticamente e la storia lascia abbastanza a desiderare (l'assurdità del movente è imbarazzante).

Nel sequel si ripetono le stesse dinamiche, compreso il finale, che prevede il colpevole sproloquiare e raccontare la storia della sua vita e le sue ragioni per il tempo necessario a far arrivare la cavalleria. Già. Spoiler: le dinamiche sono precisamente identiche nei due finali e i personaggi non si salvano da soli nessuna delle due volte. 

I personaggi sono gli stessi del primo libro, ma è davvero deprimente vedere quale storia Tura ha scelto per i vent'anni che hanno trascorso fuori dalle pagine. Sono storie triste e per due di loro quasi uguali. Il personaggio di Luca, che era stato l'incredibile eroe del primo libro ha un destino non solo avvilente, ma anche tirato via: non ha lo spazio necessario per chiudere il suo ciclo parlando con gli altri personaggi. Peggio ancora Carmen, che ha un numero di parole pronunciate pari a quelle di una comparsa e non viene spesa nemmeno una parola per la sua situazione alla fine del libro.

I delitti sono solo due, con vittime molto diverse l'una dall'altra, così che non si capisce perché dovrebbero collegarli insieme e perché dovrebbero ricordare ai protagonisti immediatamente i crimini di 20 anni prima. Il passato in cui è ambientato il primo romanzo è rievocato in tono nostalgico.

Un'altra cosa che non mi ha soddisfatta è che in entrambe le storie le forze dell'ordine sono sempre rappresentate in modo negativo, senza appello: è tutto troppo generalizzato, con i cattivi che appaiono cattivissimi e i buoni troppo maltrattati.

Se devo trovare un solo aspetto positivo, soprattutto nel sequel, è l'accento positivo LGBTQ+, anche se buttato un po' lì, come ogni cosa di questo racconto.

Giudizio: banali, scritti male, struttura e moventi poco curati, crudi ⭐

sabato 18 novembre 2023

Country Zombie Apocalypse: un racconto lungo tra horror e grottesco

 Quando mi è stato proposto di leggere Country Zombie Apocalypse ho pensato che un racconto incentrato su degli zombie sarebbe stato decisamente fuori dai miei schemi, quindi ho subito accettato.

E ho fatto bene.


Filippo Santaniello è uno sceneggiatore che ha lavorato con registi italiani e stranieri e ha riscosso successo col film The Slider. Recentemente si è anche cimentato nella scrittura di racconti horror trash che costituiscono una piccola saga ambientata tra le colline umbre ed edita da Delos Digital.

In Country Zombie Apocalypse i protagonisti sono un giovane adolescente, Alessandro, e i suoi nonni: vivono in una cascina in campagna e hanno appena messo su un'attività. A causa di un'epidemia in corso, è stato infatti sviluppato un vaccino, che causa però la morte degli immunizzati e la loro resurrezione in forma di affamati zombie. Poiché Al è il solo a possedere una vasta cultura cinematografica e fumettistica in materia di zombie, è anche l'unico a cui potersi rivolgersi in caso di attacco da parte dei redivivi. Lui e nonno Iginio, vegliardo avvinazzato, ma tostissimo, costituiscono il braccio armato (la loro vestizione finale da eroi con "gli attrezzi del mestiere" è divertentissima), mentre la nonna Clotilde è la centralinista che risponde da casa alle richieste di soccorso.

Adoro che gli "attrezzi" e i metodi che servono a eliminare gli zombie e a "rimetterli a posto" siano tratti dal contesto di vita di Al e famiglia.

"Aggrovigliati alle maglie del retino ci sono ancora ciuffi di capelli strappati, incrostazioni organiche sui rebbi arrugginiti del forcone e sangue rappreso sulle lame del troncarami".

La storia è molto divertente e gira in chiave ironica gli elementi delle storie di zombie, compreso il classico attacco della moltitudine di morti viventi. Molte scene sono grottesche, ma la violenza splatter,  in realtà, si volge con genialità in commedia.

La scrittura mi è piaciuta molto: oltre a essere scorrevole, è lessicalmente curata e immaginifica. Il racconto si dipana nella mente come una pellicola ed è impossibile staccare gli occhi dalla lettura. I personaggi sono simpatici e ben descritti e i dialoghi funzionano molto bene. Un'ora di lettura di puro divertimento.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐

lunedì 13 novembre 2023

Il fantasma dell'Opera di Gaston Leroux

Il famoso fantasma dell'Opéra Garnier di Parigi, di cui tutti parlano e che aleggia tra i corridoi e le quinte del teatro, è il mostro che ha ispirato lungamente la fantasia di lettori e cineasti.


Nella storia di Gaston Leroux, che inizialmente uscì a puntate, il teatro dell'Opéra è infestato da presenze ed eventi oscuri e misteriosi: si vocifera che ci sia un fantasma mascherato, una presenza sinistra che fa capitare brutte sciagure e che infastidisce i direttori del teatro. Inoltre pare che di punto in bianco la giovane cantante Christine sia diventata la cantante più talentuosa dell'entourage, ma che si comporti anche in modo strano e di questo si accorge il giovane visconte Raul Chagny, amico di antica data della ragazza. C'entra il fantasma con le talentuose doti di Christine e con i periodi in cui scompare? Cosa c'è dietro al mistero del fantasma?

Il mostro è connotato quasi sempre negativamente, siamo messi in guardia dalla sua malvagità. Tuttavia in alcuni momenti emerge anche il senso di solitudine e di ingiustizia che subisce questo personaggio e il suo disperato bisogno di essere amato, come ognuno di noi.

"Avevo soltanto bisogno di essere amato per diventare buono!"

Ma l'amore del mostro per Christine è giusto? La lascia libere di scegliere o è frutto di inganno e costrizione? Possiamo chiederci se lei lo amerebbe se non fosse mostruoso, ma anche se la sua mostruosità (e la conseguente ripulsa) dipendono effettivamente dalla malformazione fisica oppure dal decadimento morale.

Nel 1925 Lon Chaney ideò il trucco più iconico del mostro, che interpretò lui stesso. Nel più recente musical del 2004, invece, l'aspetto è molto più addolcito e Gerard Butler indossa solo metà maschera a nascondere le sue deformità. Nel testo di Leroux l'aspetto è ancora più orrorifico, ma solo Christine potrà vederlo. 

Narrato da più punti di vista (terza persona, punto di vista dei direttori -siparietto comico del libro-, taccuini del Persiano), la storia del Fantasma mi è piaciuta, ma lo stile di scrittura, che si serve spesso del racconto che riassume vicende già trascorse al lettore, limitando dialoghi e scene d'azione, salvo che nell'ultima parte, non mi ha totalmente soddisfatta. Come stile è certamente tipico del periodo Ottocentesco, però è anche vero che altri autori del periodo sono stati più talentuosi nella scrittura.

Leroux ribadisce più volte che la sua ricostruzione si appoggia su fonti e su fatti realmente accaduti e descrive anche particolari che si dovrebbero ancora vedere all'Opéra.

Tuttavia rimane un libro carico di fascino, romantico e assolutamente da leggere una volta nella vita.

Giudizio: ⭐⭐⭐ 3/4

domenica 12 novembre 2023

Il volto del male raccontati da Stefano Nazzi

 La narrazione di Nazzi la conosciamo bene per il podcast Indagini e il giornalista lavora nel campo della cronaca nera da anni.

Ho sempre apprezzato il suo modo di raccontare la "Nera", senza sensazionalismi, senza fare pornografia dell'orrore e forse può farlo anche grazie alla serietà del quotidiano per cui lavora, il Post, per il quale ha sempre dimostrato la sua stima.

Quest'anno Stefano Nazzi ha pubblicato anche un libro, Il volto del male, che tratta di famosi casi di cronaca italiana (come quello di Ludwig o ancora quelli delle Bestie di Satana o del Circeo, ma anche quelli di Bilancia e di Chiavenna) e di casi meno famosi (personalmente non conoscevo quello del Mostro di Foligno o, quello che più di tutti mi ha fatto ghiacciare il sangue nelle vene, quello della coppia dell'acido).


Alcuni casi mi erano già noti per averli ascoltati dalla voce di Nazzi oppure da altri podcast, come Nero come il sangue di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi, e programmi televisivi, sempre di Lucarelli.

In totale sono dieci storie che raccontano gli eventi principali dei fatti e delle indagini e cercano di ravvisare i possibili motivi e i retroscena che hanno spinto i criminali a compiere quei gesti. In effetti è un viaggio nel Male e non solo per le storie tristi dei protagonisti, vittime e carnefici, che lo sono diventati perché nel loro passato eventi traumatici li avevano segnati o solamente si era insediato un seme nefasto. In molti casi miseria o violenze o disturbi mentali fanno parte del vissuto dei colpevoli, ma non è sempre così, come nel caso di Chiavenna.

In molti di questi casi la scelta delle vittime è del tutto casuale, priva di movente, dettata semplicemente da circostanze favorevoli o da fugaci impressioni o impulsi casuali. Addirittura, nel caso degli attacchi con l'acido, una delle vittime non era neppure quella designata dagli aguzzini, bensì uno scambio di persona. Questo aspetto mi ha messo i brividi e fa comprendere come chiunque di noi aveva la stessa probabilità delle vittime di trovarsi sulla strada del mostro.

In presenza o meno di una parvenza di movente, sono strazianti anche le storie delle famiglie o dei sopravvissuti, come quelle di Stefano Savi e Pietro Barbini, di Donatella Colasanti o del signor Tollis, che ha cercato il figlio per sei anni ai concerti metal di tutta Europa.

Dieci storie strazianti, ma necessarie per ricordare le vittime e i loro cari e per non essere disinformati: conoscere e approfondire questi casi significa anche conoscere la nostra società e, a volte, può metterci in guardia davanti ai segnali del pericolo.

Giudizio: stile di scrittura piacevole e scorrevole, storie interessanti e dolorose ⭐⭐⭐⭐