mercoledì 2 luglio 2025

Il primo romanzo della saga dei Florio

 I leoni di Sicilia di Stefania Auci (Nord, 448 pag), primo volume di una dilogia sulla famiglia dei Florio, che tra Ottocento e Novecento avviò un commercio fiorente in Sicilia, prima di spezie, poi di zolfo, tonno, marsala, mi ha completamente stregata.

Non mi capitava da tanto tempo e non so quale fattore ha giocato il ruolo più rilevante, vuoi la penna, vuoi le vicende, ma non riuscivo a staccare gli occhi dal libro e l'ho effettivamente divorato in una manciata di giorni.


1799, Bagnara Calabra: i due fratelli Florio, Paolo e Ignazio, sono marinai. Trasportano spezie insieme al cognato, ma il terremoto di quell'anno spinge Paolo a prendere una decisione che rimanda da tempo: spostarsi a Palermo, avviare una bottega di spezie, cercare una vita migliore in una città portuale. Sono restii suo fratello Ignazio e, soprattutto, sua moglie Giuseppina, con la quale ha un rapporto difficilissimo. Il matrimonio, forse, sarebbe stato più felice con l'altro fratello?

Il destino, tuttavia, abbatte le remore e i tre partono con la nipote orfana Vittoria e col piccolissimo Vincenzo, il figlio di Paolo e Giuseppina. A Palermo li aspetta una strada in salita: la diffidenza della città verso questi calabresi, la concorrenza più o meno sleale degli altri commercianti di spezie, ma i Florio riescono a costruirsi un nome e, persino, soprattutto con Vincenzo, un impero.

Questa saga è densissima: le vicende personali, i drammi, i conflitti si intrecciano ai fatti storici reali della famiglia, della città, del regno. Economia, politica, storie d'amore struggenti il tutto in una narrazione avvincente. Auci non scrive con una prosa poetica o ricercata, ma è una narratrice che sa come incantare, sa dove porre l'accento per rendere la storia di Giuseppina e Ignazio un amore impossibile e per esaltare il legame tra Vincenzo e Giulia. Una mestierante? Probabilmente non solo, perché la ricerca storica che ha condotto sulla famiglia più potente di Sicilia è stata ampia e accurata.

A me sono piaciuti proprio i drammi che coinvolgono i familiari: il rapporto di Giuseppina con i due fratelli, i loro non detti che provocano struggimento ed empatia; il rapporto di Vincenzo col padre, che però può vivere poco, con Benjamin Inghram (altro storico personaggio un po' tratteggiato nel romanzo e determinante come i Florio nell'economia dell'isola), ma soprattutto con lo zio, a cui si legherà moltissimo; la sua storia di crescita personale, professionale e, infine, le sua storia d'amore con Giulia, personaggio incredibile e affascinante.

Nell'autunno 2023 è uscita su Netflix (poi in chiaro su Rai 1 nel 2024) la serie tv tratta da questo primo romanzo, con protagonisti Michele Riondino (Vincenzo Florio) e Miriam Leone (Giulia Portalupi), diretti da Paolo Genovese. Non ho il coraggio di vederla, poiché temo che non sia all'altezza di quel che ho letto e non mi convince tanto questa scelta di cast.

Non mi resta che leggere L'inverno dei leoni, ma ho qualche remora anche a iniziare questo per timore che possa non essere bello e avvincente come il primo romanzo.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐ 1/2

Fiabe floreali: esempi di indottrinamento ottocentesco sulle bambine

 Ne avevo sentito parlare come di un gioiellino.

Fiabe floreali di Luisa May Alcott (autrice del più noto Piccole Donne), in Italia uscito per Elliot (127 pagine), è una raccolta di fiabe sulla gentilezza...all'apparenza.


L'autrice sfrutta la narrazione a cornice per introdurre storie slegate tra loro: la regina delle fate raccoglie una sera accanto a sé creature del piccolo popolo e le invita, a turno, a raccontare qualcosa: poesie, filastrocche, racconti, popolati da creature che vivono in un piccolo mondo di feste, balli, fiori, buoni sentimenti, tutto descritto con dovizia di particolari, quasi l'impresa sembri così impossibile da voler far immergere il lettore in questa atmosfera.

Le storie sono tutte molto simili fra loro e legate da uno stesso filo: mostrare che con la gentilezza, la remissività, la sopportazione (le virtù cristiane perfette su una donna, no?) si ottengono sempre favori, pace e lieti fini, mentre alle creature (bambini, fate, etc...) che sono egoisti e prevaricatori toccano tristezze, miserie e ricerche o prove da superare per espiare i loro "cattivi" comportamenti. In uno dei racconti un personaggio riceve addirittura un fiore che fiorisce o appassisce a seconda dei comportamenti adottati.

Oltre a una narrazione prolissa, ripetitiva e stucchevole

"Allora la bambina smise di farsi domande, ma divenne più intenso il suo amore per gli Elfi dal cuore tenero che lasciavano la loro terra felice per rallegrare e confortare coloro che non avrebbero mai saputo quali mani li avevano vestiti e sfamati, quali cuori avevano donato loro un po' della propria gioia per riempire i loro di tanta felicità."

in realtà ciò che mi ha infastidito nella lettura, più della noia, è stato questo indottrinamento. Il target delle fiabe sulle fate sono chiaramente bambine, a cui stanno dicendo "comportatevi così se volete essere felici": la colomba, ormai quasi in punto di trapasso, che viene lodata per la sua sopportazione della malattia, per non essersi mai lamentata, perché è grata alle fate che l'hanno accudita; l'elfo Lanugine di Cardo al contrario è rimproverato perché, benché "vivace e galante [...] celava sotto il suo vivace mantello piccoli aculei di crudeltà ed egoismo". E ancora il bocciolo di rosa che tenta di afferrare la bellezza della lucciola viene punito dal Padre per l'ingratitudine per il proprio aspetto e rischia di morire, perché la superbia è descritta come un sentimento triste e "soltanto l'umiltà può donare felicità ai fiori e alle Fate".

Le bambine dell'epoca in cui scrive la Alcott dovevano incarnare tutte queste nobili virtù cristiane di remissività, abnegazione, essere graziose e silenziose, sorridenti, senza mai una richiesta o una lagna o una parola di biasimo o critica per chicchessia. La piccola Eva del racconto, infatti, alla richiesta della Regina delle Fate di quale dono vorrebbe ricevere, non può che chiedere di essere perfetta come il mondo la vuole: 

"cari piccoli Elfi, cosa posso chiedere a voi, che avete fatto tanto per rendermi felice, e mi avete insegnato tante cose buone e gentili, il ricordo delle quali non svanirà mai in me? Posso soltanto chiedervi il potere di essere pura e gentile come voi, tenera e amorevole coi deboli e i sofferenti, e instancabile nel compiere atti d'amore verso tutti."

Mi rendo conto che per l'epoca e per il pubblico a cui era rivolto (bambine e soprattutto madri che volevano le loro figliolette docili, dolci e pazienti) questo prodotto potesse funzionare a dovere, ma riproporlo oggi, che abbiamo valori totalmente diversi, è un'operazione azzardata e quasi insensata.

Giudizio: ⭐⭐ 

martedì 22 aprile 2025

Non è giallo, non è cosy, sa soltanto quello che non è: la raccolta Il giallo Mondadori fa schifo

 Ma quanto è di tendenza dire cozy crime o cozy mistery?

Taaaantoooo. Ed ecco che il mercato ci si butta a pesce nel nuovo (che poi nuovo non è) sottogenere del poliziesco.

Spoiler: non basta aggiungere l'aggettivo cozy perché qualcosa lo diventi, specialmente un genere che in Italia tendenzialmente è sempre andato nella direzione opposta, quella del realismo, della cronaca, del thriller, del noir. No, nemmeno i continui riferimenti al cibo in italica maniera rende più confortevole le situazioni, non necessariamente: non tutti sono Camilleri.

I giallo "accogliente" è quello in cui i personaggi o l'atmosfera conferiscono un sapore piacevole alle indagini: per antonomasia Cabot Cove. Per me possono essere cozy i romanzi di Agatha Christie, perché non c'è mai violenza e quelle ambientazioni aristocratiche o borghesi sono rassicuranti e curate, i toni sono pacati e il lettore si aspetta il trionfo del detective alla fine della storia, magari coi sospettati seduti intorno a un tè.

Forse è il mio tipo di giallo preferito, poiché non mi piacciono gli scenari violenti e le ambientazioni in contesti miseri e degradati. Non ho mai cercato la denuncia sociale nel mistery, ma il gioco con l'investigatore. Infatti, oltre alla Christie i miei autori preferiti del genere sono Andrea Camilleri e Fred Vargas, anche se non si può davvero competere alla pari con Montalbano o Adamsberg; tuttavia si potrebbero definire (prima che il termine fosse di moda) dei cozy crime.

Ma veniamo a questa raccolta di Mondadori (407 pag) uscita nel luglio 2024 e intitolata appunto E cosy sia.


La cifra stilistica la dà il primo racconto: Ultima cena a Parigi di Francois Morlupi, noto per aver creato I cinque di Monteverde, che non ho letto, ma che, in base alle recensioni, sono violenti piuttosto che cozy e questo racconto, anche se non presenta il primo elemento, nemmeno si può dire che contenga il secondo. Non è solo antipatica l'investigatrice, ma è anche scritto male il racconto: si perde in dettagli inutili, presentando il personaggio e dà al giallo una soluzione troppo veloce, oltretutto costringendo la soluzione in un tempo del racconto troppo breve. Non si può risolvere un caso di omicidio in 24 ore.
Peri Peri è un racconto di Maria Elisa Aloisi con protagonista una ladra, antipatica come l'investigatrice del primo).
Vertigine è un racconto di Antonio Paolacci e Paola Ronco ed è l'unico della raccolta a essermi piaciuto davvero: è sofisticato, ambientato all'Hotel Bristol Palace, contiene riferimenti a La donna che visse due volte di Hitchcock, che fu in parte girato proprio in quell'albergo ed è la prima indagine che segue le regole del giallo.
All inclusive di Cristina Aicardi e Ferdinando Pastori presenta un personaggio molto sopra le righe e simpatico, Bea Blasco, ma non è un mistery: è un mix tra noir e thriller senza un rompicapo da risolvere. Stesso problema di Cuore di mamma di Alice Basso, che SPOILER consiste nella confessione spiegone di una donna che nel testamento racconta alle figlie di come ha ucciso il marito cucinando troppo calorico per innumerevoli anni. Sul serio? 😒
Anche Il gatto, l'Astice e il Cammello di Valeria Corciolani manca della struttura a rompicapo, ma ha un plot-twist interessante e che mi ha fatto tornare in mente Arsenico e vecchi merletti. In modo analogo, sebbene c'entri poco con un giallo, Il caso è risotto di Lucia Tilde Ingrosso è forse il racconto con la struttura più interessante.
Morte a km zero di Nora Venturini è uno dei racconti più gradevoli, con la struttura del giallo quantomeno e, probabilmente, è anche il più cozy dei racconti.
La dieta è un delitto di Serena Venditto è prolisso, ci sono troppi personaggi, gli indizi per risolvere il caso sono accuratamente tenuti nascosti al lettore, è didascalico, con dialoghi pessimi e il quartetto di protagonisti è discretamente antipatico.
Il mostro del pantano di Paola Regina è uno dei racconti che mi è piaciuto meno: lungo, scontato (si capisce chi è il colpevole fin da principio), perfino noioso, così come Cozze amare di Barbara Perna è infinito, il più lungo della raccolta.
L'ultimo racconto che menziono è il secondo che salvo della raccolta, principalmente per la scrittura brillante: Il pescatore, il Professore e la Cana Jatta di Patrizia Rinaldi.

Giudizio complessivo: ⭐⭐

domenica 20 aprile 2025

La valle dell'Eden: è amore per Steinbeck

 Forse non è del tutto vero: mi sono innamorata della scrittura di Steinbeck quando ho letto quest'estate Uomini e topi (1937). Concisa, completa, perfetta, avevo già potuto apprezzare la sua penna; ma ne La valle dell'Eden (1952, 784 pagine per Bompiani), l'autore ha più agio di descrivere un mondo, di più, di crearlo davvero: leggere questa storia è come attraversare una parete per trovarsi in una realtà parallela, una realtà con una struttura solida e un'anima che ci fa immergere totalmente nel racconto.


La storia si articola su molti anni (dalla Guerra Civile Americana alla Grande Guerra) e tra molti personaggi e linee narrative: una vera epopea che coinvolge due famiglie per tutti questi anni.

Protagonista principale della storia, probabilmente (dico probabilmente perché in realtà il racconto è corale e spesso cambia il personaggio su cui è posto il focus), è Adam Trask, la cui storia è raccontata dalla giovinezza, quando è ragazzo insieme al fratellastro Charles nella fattoria del padre, Cyrus, paradossale esperto di guerra, fino all'età adulta.

La storia di Charles e Adam si intreccia con quella di due straordinari personaggi: l'inumana Cathy e il sognatore Samuel Hamilton, le cui descrizioni, insieme a quella di Adam (e poi dei discendenti di questi, tra cui spicca Cal, noto per essere stato interpretato da James Dean nella trasposizione di Kazan del 1955, ma anche di uno dei miei personaggi preferiti, Lee), sono probabilmente il motivo della grandezza di questo romanzo. I personaggi sono splendidi: complessi, sfaccettati, pieni di dubbi e contraddizioni, con evoluzioni non lineari, tanto da essere dunque realistici, imperfetti, vicini al lettore, che non può che sentire di conoscerli, spesso di affezionarsi.

Le vicende dei personaggi fanno spesso riferimento alle storie della Bibbia, con molti paralleli, anche discussi nel corso del romanzo, in una metafora costante della lotta che avviene tra il Bene e il Male all'interno di ognuno (con ogni personaggio che mostra ognuno una possibile evoluzione e un possibile esito di questo scontro).

Giudizio: uno dei romanzi più belli che ho letto nel 2024, con personaggi scritti benissimo, una scrittura evocativa, una storia appassionante, che me lo ha fatto divorare, senza voler mai smettere di leggere e volendone di più al termine del libro. ⭐⭐⭐⭐⭐

Su un Parnaso ambulante a scoprire le seconde occasioni

 Mettiamo una donna di 39 anni (che per noi è nel fiore degli anni, ma che nel 1917 era considerata - e anche il personaggio si considera - una zitella di mezza età), Elena McGill, che ha sempre vissuto insieme al fratello Andrea, lavorando insieme alla fattoria, lui nei campi, lei cucinando e mandando avanti la casa.

Mettiamo che il fratello diventi uno scrittore famoso e che cominci a lasciare sempre più incombenze alla sorella, sempre più stufa di questo.

Mettiamo che un giorno arrivi alla fattoria un ometto che si propone di vendere la sua attività ambulante di libraio ad Andrea e che Elena tema che accetti e che la abbandoni alla fattoria per chissà quanto.

È fatta: la donna decide di buttarsi al posto del fratello nell'avventura e parte col carrozzone trainato da un cavallo, un cane e il Professor Roger Mifflin per portare la letteratura nel mondo della povera gente di campagna e di città. Le avventure sono dietro l'angolo.


Il Parnaso ambulante
, dello scrittore americano Christopher Morley (Edito da Sellerio in Italia già nel 1992 - e rimasto nella sua vetusta traduzione del 1953, con i nomi addirittura tradotti), è ambientato nel New England ed è un romanzo molto carino, consigliatissimo per una lettura leggera, ma non del tutto disimpegnata.

Pur non essendo denso di avvenimenti (comunque ha solo 176 pagine), è ricco di spunti di riflessione. La coppia di venditori è infatti strampalata e buffa ma ci insegna, strada facendo, molte cose sull'importanza della lettura e di condividerla con l'umanità, ma anche sulle seconde occasioni: non è mai troppo tardi per scoprire cosa ci appassiona e seguire i nostri sogni.

Giudizio: ⭐⭐⭐ 1/2

venerdì 11 aprile 2025

I gialli-romance li scrivono meglio oltre oceano: Delitto al ballo

 Delitto al ballo di Julia Seales è un romanzo giallo con sfumature romance (Piemme, 384 pag), che omaggia e prende in giro al tempo stesso Orgoglio e pregiudizio.


L'ambientazione è un paesino a tratti fiabesco (con rane bioluminescenti, paludi risucchianti e probabilmente altre creature...) nell'Inghilterra del periodo Regency. La protagonista è la primogenita di una famiglia che si può sovrapporre ai Bennett, con due figlie in meno: il padre è un uomo tranquillo (ma burlone) che ha avuto solo femmine, le quali perderanno tutto a favore di un cugino paterno, di pessimi aspetto e modi, se non si sposeranno, ragion per cui trovare marito alle figlie maggiori è il solo scopo nella vita della signora Steele. Familiare, vero?

Beatrice Steele, però, è interessata al true crime, che segue sui giornali, da nascondere accuratamente perché non si addice a una signorina della buona società, che nel paese di Swampshire è disciplinata scrupolosamente da un'apposita Guida alle buone maniere per dame.

Al ballo organizzato dai nobili Ashbrook, tuttavia, ci sarà l'occasione per Beatrice per mettersi alla prova, insieme al tenebroso detective londinese Vivek Drake.

La caratteristica principale di questo libro è il registro comico a cui si attiene costantemente: i personaggi si prendono sul serio, ma i loro comportamenti sono ridicoli, caricaturali (e il contrasto funziona benissimo). Non è un vero libro romance, perché l'attrazione tra i due investigatori è fatta intendere (malamente, se vogliamo dirla tutta, ossia descritta come un fuoco che entrambi provano quando si toccano e poco altro); la componente mistery è già più presente, ma soprattutto si tratta di un romanzo di intrattenimento. I personaggi riescono avere, nella caricatura, anche una discreta caratterizzazione e l'ambientazione è molto gradevole (e un pelo ironica, come tutto il resto), col maniero decadente, la notte tempestosa che costringe gli ospiti a rimanere isolati. Mi ha fatto ridere e ho adorato il modo in cui è descritta la minore delle sorelle Steel, esempio anche di come un mistero viene accennato e fatto comprendere, senza didascalie inutili.

Riguardo la componente mistery, l'indagine è condotta in stile classico, l'atmosfera è quella del delitto in un cerchio ristretto di persone in un luogo misterioso e, secondo me, si può giocare abbastanza alla pari con i detective, arrivando anche a trovare il colpevole, anche se non sono riuscita a risolvere tutti i misteri.

Giudizio: gradevolissimo intrattenimento ⭐⭐⭐ 1/2


mercoledì 9 aprile 2025

Non vorrei mai smettere di leggere i racconti di Italo Calvino

 Potrei sbilanciarmi e affermarlo, senza troppa paura di dire qualcosa di esageratamente grosso, grave, una spacconata: forse Italo Calvino è il mio autore preferito.

Tutto, di questo scrittore, ancora non ho letto, ma ha una penna davvero magica. L'uso icastico che fa delle parole, la loro scelta così precisa, né fuori luogo, né superflua, mi lascia sempre a bocca aperta. Leggere i suoi racconti o i suoi romanzi è lasciarsi trasportare nella scena che descrive, varcare la porta di un'altra dimensione.

Calvino è fluido e immaginifico: descrive situazioni, ordinarie o meno, dalla fabbrica alla guerra, con un linguaggio che supera la prosa e spesso è vera poesia.

Una fortuna inaspettata per me è stata trovare nella libreria di mio padre una copia (presumo di mio nonno) de I racconti pubblicati da Einaudi nel 1958. Questa raccolta contiene moltissimo del lavoro di Calvino, quasi tutti i racconti scritti fra il 1945 e il 1958, che insieme a Prima che tu dica "Pronto" (Mondadori, 1993, 269 pagine), che contiene altri trentatré racconti, stavolta scritti fra il 1943 e il 1984, costituisce un discreto corpus di partenza. Tuttavia mi mancano ancora le raccolte Le città invisibili, Le cosmicomiche, Ti con zero, Sotto il sole giaguaro e altri racconti, presenti in altre pubblicazioni: per esempio la raccolta intitolata Amori difficili è presente dentro a I racconti di Einaudi, ma è poi stata ripubblicata a parte nel 1970 dalla stessa casa editrice e contiene altri quattro nuovi racconti (L'avventura di un banditoL'avventura di un fotografo, L'avventura di uno sciatore e L'avventura di un automobilista).


Ma che cosa contiene questa corposa antologia di 495 pagine?

Contiene cinquantadue racconti divisi in quattro libri, intitolati Gli idilli difficili, Le memorie difficili, Gli amori difficili, appunto, e La vita difficile, ognuno dei quali contiene un numero diverso di racconti.

Gli idilli difficili presenta trentadue racconti, composti fra il 1945 e il 1958, compresi dieci racconti con protagonista Marcovaldo, lo sfortunato operaio protagonista dell'omonima raccolta che uscirà col doppio dei racconti nel 1963, sempre per Einaudi.

La maggior parte di questi scritti tratta di avventure partigiane o comunque ambientate nella guerra o nel dopoguerra, spesso in contesti di scarsità di risorse e, probabilmente, è la mia sezione preferita. I racconti che ho preferito in questo "libro" sono Paura sul sentiero, Paese infido, La gallina di reparto e Furto in pasticceria.

Più incentrato sul Dopoguerra e sulla vita operaia sono tutti i racconti di Marcovaldo, La gallina di reparto e tutta la sezione Le memorie difficili, che è anche quella che mi è piaciuta meno, anche se contiene il racconto L'uomo nei gerbidi che ha una scrittura particolarmente delicata e immaginifica, con stupende descrizioni di paesaggi.

La, purtroppo incompleta, come accennato parte denominata Gli amori difficili contiene storie molto divertenti, alcune leggere, altre degne di suscitare riflessioni e, soprattutto, contiene un racconto che è un capolavoro per simmetria e per la facilità con cui riesce a evocare sentimenti, sensazioni che conosciamo per aver vissuto, ma che solo Calvino riesce a descrivere con poche parole e meno di quattro pagine: L'avventura di due sposi.

L'ultimo libro, La vita difficile, contiene tre racconti un po' più lunghi: La formica argentina, amaro e divertente, La speculazione edilizia, sinceramente per me quello meno riuscito dell'intera raccolta, e La nuvola di smog, anche questo amaro, ma che mi è piaciuto moltissimo. Il primo e l'ultimo di questi racconti sono stati inseriti ne Gli amori difficili pubblicato nel 1970.

Giudizio: complessivamente una raccolta che tutti dovrebbero leggere per conoscere la scrittura di Calvino, come cambia nel corso del tempo, come approccia temi diversi e a lui molto cari. Alcuni racconti naturalmente mi sono piaciuti di più e altri di meno, ma non avrei mai voluto terminarla. ⭐⭐⭐⭐ ½

Come Barbero, innamorata della straziante storia di amore de Il Maestro e Margherita

 Il Maestro e Margherita è il più noto e tormentato (scritto, bruciato, riscritto e poi pubblicato postumo nel 1967) dei romanzi di Bulgakov: mi sono convinta a leggerlo dopo averne sentito parlare (con molti spoiler) da Alessandro Barbero, che lo considera (almeno nelle interviste) il suo libro e la sua storia d'amore preferita. L'ho letto nell'edizione Einaudi (386 pagine).

[...] non può essere, i manoscritti non bruciano.


La storia è un intreccio di fatti che accadono a personaggi diversi: è un romanzo corale e ha una struttura straordinariamente moderna, cosa che mi ha colpito moltissimo.

Il primo libro si incentra sul personaggio del Diavolo, Woland, che compare a Mosca e compie una serie di mascalzonate, divertenti solo per il lettore, ai danni degli abitanti, assieme ai suoi accompagnatori, uno più eccentrico e cattivo dell'altro: Korov'ev, Azazzello, il gatto gigante Behemoth e Hella.

Il secondo libro (che mi è piaciuto di più) racconta invece le vicende di Margherita, l'amante del personaggio introdotto nel capitolo tredici (forse il più bello del libro), il misterioso e maledetto Maestro, che racconta la loro storia d'amore. La storia dei due, nella seconda parte, si intreccia a quella della diabolica gang, ma in realtà tutte le storie dei molti personaggi si intrecciano fra loro.

A queste linee narrative si aggiungono anche, frammisti agli altri, ma senza un ordine o una divisione precisa, i capitoli che costituiscono la storia romanzata di Ponzio Pilato, da un punto di vista inedito.

Questa parte è spesso stata considerata letterariamente la più interessante, ma io ho preferito quelle incentrate su Margherita, personaggio romantico e determinato, pronto per amore a qualunque cosa.

Di che cosa dunque aveva bisogno quella donna? Di che cosa dunque aveva bisogno quella donna nei cui occhi ardeva un incomprensibile focherello? Di che cosa dunque aveva bisogno quella strega, lievemente strabica da un occhio, che in quella primavera si era adornata di mimose? Non lo so, lo ignoro. Evidentemente essa diceva la verità, aveva bisogno di lui, del Maestro, e non d'una palazzina gotica, né di un giardino particolare, né di quattrini. Essa lo amava, diceva la verità.

Il Maestro è meno in primo piano della sua amante, ma è drammatico e struggente nei momenti in cui compare.

Si mise il berretto in testa [...]- Me l'ha cucito con le sue mani - aggiunse con fare misterioso.

I più originali personaggi, tuttavia, sono Behemoth, Korov'ev e Azazzello, non solo per il loro aspetto bizzarro, ma soprattutto per le uscite sopra le righe e inaspettate.

Ho spesso visto accostare a romanzo il realismo magico, ma non ce ne ho ravvisato le caratteristiche: gli interventi magici compiuti da Woland o dai suoi diabolici aiutanti sconvolgono Mosca e sono vissuti dalle vittime come eventi straordinari e inspiegabili. Sono rimasta anche un po' perplessa di fronte alla satanica potenza magica: in certe circostanze il Diavolo appare onnipotente, in altre il gruppo sembra dover ricorrere al raggiro del prossimo per ottenere qualcosa. Semplici esigenze narrative o voglia dei personaggi di divertirsi?

La scrittura è molto fluida e il libro scorre benissimo, regalando al contempo struggimento e divertimento. Non mancano, inoltre, spunti di riflessione sociali, anche sulla vita del periodo in Russia, a volte descritta mediante metafore. Sono quindi possibili più livelli di lettura, il che rende quest'opera complessa e completa.

Giudizio: si tratta di un'opera bellissima e particolare, non omogenea per struttura e contenuti, ma ciascuno può trovare qualcosa da amare all'interno di queste pagine che hanno comunque una prosa bellissima e intensa. La parte incentrata sui due amanti per me è un capolavoro, ma nel complesso sono leggermente più tiepida, solo per un minore interesse sugli altri temi ⭐⭐⭐⭐ 1/2

L'ospite di Dracula non mi ha convinta

 L'irlandese Bram Stoker (1847 – 1912) è noto principalmente per aver scritto Dracula nel 1897. Altre opere dell'autore sono meno note e, forse, c'è un motivo.

Tempo fa lessi nell'edizione Nero Press La tana del serpente bianco (The Lair of the White Worm, 1911) e rimasi abbastanza perplessa, in particolare dopo aver letto il finale e aver appurato che l'edizione era integrale e senza tagli.


Questa volta mi sono cimentata nella lettura della raccolta che prende il nome da L'ospite di Dracula: racconto ispirato a scritti di Sheridan Le Fanu e che avrebbe potuto essere il primo capitolo del romanzo che poi rese celebre Stoker. La storia, tuttavia prende fino a un certo punto: il focus è più sull'ambiente, sulla descrizione degli eventi atmosferici che non sugli accadimenti, che assumono un senso totalmente diverso solo con il plot twist delle ultime righe.

I racconti compresi all'interno sono quattro e, oltre al primo, sono presenti La Squaw, Il funerale dei topi e La casa del giudice, per un totale di appena cento o centoventi pagine (possiedo la raccolta in due edizioni: una recente della Newton Compton e la vintage 100 pagine 1000 lire).

La Squaw è un racconto brevissimo sulla vendetta, che assume tinte piuttosto crude e macabre, anche se era facile intuirne il finale.

Il funerale dei topi racconta una fuga da un ambiente squallido e di pericolo ed è il racconto che ho trovato più noioso e meno riuscito.

La casa del giudice è invece il classico racconto della casa infestata e, sinceramente, il racconto che ho preferito dei quattro, con un finale anche piuttosto inaspettato.

Devo ammettere con dispiacere che non ho trovato la lettura avvincente, a eccezione dell'ultimo racconto, che presenta una discreta suspense. Le atmosfere sono grottesche e orrorifiche, ma mi hanno confermato l'impressione tiepida sugli altri scritti di Stoker che mi ero fatta leggendo La tana del serpente bianco.

Giudizio: ⭐⭐ 1/2

Vitale Federici indaga al Teatro della Pergola

 Marcello Simoni, popolarissimo giallista storico italiano, che ha all'attivo più di trenta romanzi pubblicati, oltre a molti racconti e a saggi, con Il teatro dei delitti (Newton Compton, 224 pagine) aggiunge un secondo capitolo alla saga dell'investigatore Vitale Federici. 


Come ne La taverna degli assassini (il primo, che naturalmente leggerò dopo il secondo, come tradizione vuole), l'ambientazione è il Granducato di Toscana di fine Settecento. Stavolta, però, precettore e studente, Bernardo della Vipera, (un po' come Guglielmo da Baskerville e Adso) si trovano a seguire un'indagine al teatro della Pergola, durante la rappresentazione de Le feste d'Iside.

Al primo atto dello spettacolo, un urlo interrompe la messa in scena. Dal pubblico qualcuno ha visto nel retro del palco quello che sembra un omicidio e il duo inizia le indagini per capire cos'è successo, fra botole, quinte e i corridoi labirintici del teatro della Pergola di Firenze.

La particolarità dei romanzi di Simoni è la cura maniacale per l'ambientazione e Le feste d'Iside fu veramente messo in scena il 10 febbraio 1794. Il libretto dell'opera riporta anche i nomi con gli attori, librettista, scenografo, tutti resi personaggi che l'autore fa comparire nel romanzo, affiancandoli a quelli di finzione. Anche il teatro -peraltro bellissimo e ancora in attività, tra i primi teatri all'italiana- è descritto minuziosamente e devo ammettere che, per me, gran parte del valore di questo romanzo è stato proprio nella ricostruzione storica dell'edificio, dei costumi, dell'atmosfera della serata in teatro.

La trama mistery è interessante, soprattutto per la sfumatura a confine fra reale e immaginato che a un certo punto prendono gli eventi e lo svolgimento mi è piaciuto abbastanza: si mantiene fra interrogatori, colpi di scena piuttosto frequenti e comicità. La soluzione, tuttavia, è molto più semplice di quello che il sottotitolo del romanzo (Un giallo irrisolvibile) farebbe pensare: c'è proprio la scena con l'indizio in bella mostra nello stile de La signora in giallo.

Per quanto riguarda la scrittura, è piuttosto ben scritto e mantiene un ritmo incalzante: ha capitoli brevi, ognuno terminante con un colpo di scena (come dichiarò l'autore alla presentazione a cui assistetti all'Odeon di Firenze: più all'americana che alla Umberto Eco). Si tratta dell'aspetto che ho preferito meno: un po' affettato, mi ha stancata in poco tempo.

Giudizio: complessivamente lo reputo un discreto romanzo d'intrattenimento. ⭐⭐⭐

domenica 30 marzo 2025

Le gialliste italiane si vendono bene per i motivi sbagliati: Miss Bee

 Poi mi domandano perché non leggo la narrativa mistery scritta nel mio paese...

Miss Bee è esemplificativa in questo.


Alice Basso e Alessia Gazzola sono autrici prolifiche e apprezzate nello Stivale per la loro penna e i loro costrutti polizieschi, ma mentre con la prima avevo avuto esperienza con la serie della gosthwriter, che ho già stroncato su questo blog per la protagonista odiosa, la dubbia risoluzione delle indagini mediante intuizioni e il logoro meccanismo del triangolo amoroso al centro del quale sta l'investigatrice in erba, non mi ero ancora scontrata con Gazzola.

Ho rimediato.

Se queste autrici rappresentano il meglio che la letteratura commerciale crime ha da offrire in questo paese, poveri noi.

Attirata dalle prime recensioni positive lette, dalla copertina deliziosa e dall'accostamento del genere giallo cozy (quanto mai in auge in questo momento) al romance sbarazzino alla Bridgerton (idem come per il suddetto giallo cozy e non credo che il riferimento all'ape sia casuale, anche se il periodo storico è quello di Downton Abbey), mi sono fatta regalare per Natale questo romanzo.

Le prime pagine rivelano subito una scrittura prolissa, didascalica fino alla nausea (e per me il giudizio sulla penna di Gazzola era già formato). La protagonista della serie, Beatrice Bernabò, è una ventenne borghese fiorentina trapiantata a Londra per motivi familiari e politici del padre (siamo negli anni Venti del Novecento). Secondogenita geniale ma incompresa (allo studio preferisce fare paralumi) ha una cotta per il vicino di casa, Christopher (Kit). A una delle innumerevoli cene aristocratiche indette dalla madre di Kit salta fuori il morto (cause naturali? omicidio? incidente finito male -cosa che manderebbe in bestia un lettore di gialli...lo dico così, per dire-?).

A questo punto Beatrice comincia a fare cose, fondamentalmente lagnarsi dei suoi problemi e farsi affascinare dagli uomini (e dalle donne), attività importante perché il suo metodo nel risolvere crimini si basa sostanzialmente nel chiedere agli spasimanti "Mi dite com'è andata? Grazie, gentilissimi."

Questa totale mancanza di rispetto per il lettore di gialli è il motivo principale del mio astio nei confronti del romanzo: lunghi spiegoni dei personaggi e intuizioni della detective dilettante, senza indizi, senza interrogatori che mettano alla luce incongruenze rivelate dai sospetti, senza sostanzialmente nessun talento del segugio. Peggio ancora, il lettore di gialli individua subito il più marchiano errore commesso da tutti gli investigatori, ufficiali e non, di questa storia (ed è subito Dicker), vanificando quello che forse era il tentativo di plot twist dell'autrice, anzi aspettandola proprio al varco: non considerare tutti i presenti alla cena dei sospetti e focalizzare arbitrariamente i sospetti solo su alcuni.

Il terzo motivo è il triangolo amoroso: non ne posso più di questo espediente narrativo per agganciare il malcapitato lettore alla serialità. In questo preciso caso non si tratta neppure di un triangolo, ma di un quadrato!!! E non conto la breve virata LGBTQ solo perché, per ragioni storico-sociali, non dovrebbe dare origine a un corteggiamento, altrimenti ci troveremmo di fronte a un pentagono.

I personaggi sono approfonditi pochissimo: dalla protagonista ai personaggi minori dei familiari (sorelle, padre, etc).

Bee è contraddistinta principalmente dal suo status sentimentale ed è il classico prototipo moderno di ragazza che non si arrende di fronte alla società maschilista che vuole decidere per lei, ma è un ritratto senza spessore. I due spasimanti maschili che hanno maggior spazio sono pressoché identici: all'apparenza cattivi ragazzi, sotto sotto nascondono dei buoni sentimenti. Il visconte Julian è anche il mezzo per tirare in ballo le difficoltà dell'antica nobiltà inglese di far fronte alle tenute sempre meno redditizie dopo la Grande Guerra. Il livello di approfondimento è tale (così come per qualunque altro tema sociale) che credo l'argomento compaia solo per fare riferimento a Downton Abbey.

Non è stato ancora presentato come corteggiatore ufficiale l'ispettore Archer, ma la scrittrice ci ha già cominciato a girare intorno e un lettore anche minimamente avvezzo a queste dinamiche (e io forse lo sono anche meno) annusa subito l'aria che tira (e si rende anche subito conto di quale è l'estrazione sociale dei vari membri del poligono, di quale è il vero bravo ragazzo e può indovinare fin da subito come andrà a finire).

Giudizio: visto come un mero romance sarebbe quasi passabile, ma la scrittura è comunque approssimativa e pigra, con personaggi piatti, dinamiche abbastanza trite e prevedibili; come giallo è semplicemente inqualificabile (impensabile accostarci il nome di Agatha Christie, nemmeno per la pubblicità). ⭐⭐

Il celebre scontro fra il ladro gentiluomo parigino e il segugio di Baker Street

 Maurice Leblanc ha scritto e pubblicato per il primo trentennio del Novecento numerosi racconti e romanzi con protagonista il ladro gentiluomo Arsène Lupin, tornato recentemente alla ribalta anche tra il pubblico mainstream per la serie Netflix che ha per protagonista Omar Sy e noto anche per aver ispirato a Monkey Punch Lupin III.


Non ho ancora letto opere con protagonista Lupin in solitaria, ma non ho saputo resistere al crossover in cui l'autore francese ha fatto incontrare al suo eroe noir l'investigatore per antonomasia, la creatura di Sir Arthur Conan Doyle: Sherlock Holmes...

...con un piccolo adattamento. Leblanc non ottenne il permesso di Doyle per utilizzare il suo personaggio e dovette storpiarne il nome in Herlock Sholmes, così come quello di Watson fu mutato in Wilson.

Non solo: il detective differisce anche nel comportamento e nel carattere. I suoi tratti sono estremizzati per renderli caricaturali, sembra quasi sempre sotto scacco e non brilla per acume come l'originale. Anche se non si arrende davanti al confronto col rivale parigino, le prende sonoramente e ci fa brutta figura. Al termine dei due racconti della raccolta (Feltrinelli, 272 pag) si arriva sempre al pareggio, con ciascuno dei due personaggi che ottiene un parziale successo e un parziale insuccesso, come in un patteggiamento, ma in realtà il lustro è maggiore per Lupin, che appare sempre più furbo e dalle vedute più lungimiranti.

Anche Watson risente molto della trasformazione in Wilson: diviene un personaggio comico e quasi grottesco, che lo rende il principale ma non unico elemento di divertimento della narrazione. Ho riso anche troppo e non so se più per le situazioni ridicole o per lo snaturamento del nobile dottore londinese.

Il primo racconto, La dama bionda, è più lungo e narra il primo incontro fra gentiluomini: ha una trama piuttosto strutturata, molti personaggi e più casi che si intersecano, accomunati solo dalle sparizioni di una donna misteriosa che appare ovunque Lupin abbia messo lo zampino. Mentre l'ispettore Ganimard arranca, le vittime dell'antieroe si affidano a Sholmes e il gioco ha inizio.

Il secondo racconto, La lampada ebraica, è breve e si incentra su un "furto della camera chiusa".

Lo stile di Leblanc è molto scorrevole e avvincente e la lettura costituisce un intrattenimento molto gradevole.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐

lunedì 17 febbraio 2025

Viaggio nella meravigliosa mente di Tolkien: leggere il Silmarillion

 Il professor John Ronald Reuel Tolkien, come ormai tutti sanno, ha dato vita a universi narrativi fantasy di grande complessità e organicità. Tra le sue opere più famose ci sono Lo Hobbit e Il Signore degli anelli, che anche il pubblico mainstream conosce per gli adattamenti cinematografici.


Il mondo di Arda è stato descritto nel dettaglio anche in molti altri testi del professore, modificati e riscritti tante volte nel corso della vita, senza che mai Tolkien riuscisse a farsi pubblicare in un'unica opera tutte le storie relative alla creazione del suo universo e agli scontri fra le sue divinità e i suoi popoli.

Il Silmarillion è questo: una selezione postuma (1977), a opera del figlio Christopher, delle versioni di tutti i testi coi quali Tolkien per tutta la vita immaginò e poi descrisse eventi, luoghi e persone che aveva immaginato per Arda; un puzzle di scritti in epoche diverse (pensati anche come storie a sé stanti in alcuni momenti come Beren e Luthien, Il libro dei racconti perduti, La caduta di Gondolin, I figli di Húrin), che non coincide, dunque, con un'opera narrativa pensata in un unico tempo e che riflette totalmente questa struttura.

I libri sono cinque, totalmente diversi per lunghezza e densità dei contenuti. 

Si parte da Ainulindale, la genesi di Arda: la creazione della Musica e delle divinità, i Valar, da parte di Eru o Iluvatar,. Come in altre mitologie, compare presto il dio non in grado di accettare il disegno dell'Uno, Melkor, analogo a Lucifero quale creatura potente e bellissima, ma oscura, che corrompe il mondo già al momento della creazione a cui contribuiscono tutti i Valar.

Ainulindale e il successivo Valaquenta, che descrive la creazione del mondo e di Valinor, la terra perfetta dove risiederanno i Valar, al di là del mare occidentale della Terra di Mezzo, sono i più elaborati degli scritti. Sono contenuti, ma stilisticamente curati.

Tutt'altra cosa è invece il corposo Quenta Silmarillion, il nucleo centrale e che copre il maggior numero di vicende. Gli eventi coprono due ere, dalla nascita di Elfi (i figli primogeniti di Eru) e successivamente degli Uomini, alla corruzione della perfetta armonia che ragnava a Valinor a opera di Melkor/Morgoth, passando per la creazione delle gemme chiamate Silmaril, che scateneranno la guerra fratricida fra le popolazioni elfiche, nate nella Terra di Mezzo e, alcune, migrate a Valinor e successivamente bandite. Più protagonisti degli Uomini nell'opera sono gli Elfi, origine di molti eventi e molto meno saggi di quel che ricordavo ne Il Signore degli anelli, anzi molto più passionali e, talora, oscuri.

Il nucleo dell'opera, in effetti, sono le storie delle battaglie intraprese contro Morgoth per riprendere i Silmaril. Il lettore, sia pure già introdotto alla Terra di Mezzo dalle opere più note di Tolkien, si perderà fra nomi, eventi e, persino, geografie diverse da quelle che ricordava. Dei molti capitoli presenti nel Quenta Silmarillion, alcuni, come accennato, sono più riusciti, altri meno: l'effetto stilistico è veramente disomogeneo.

Gli ultimi due libri - densissimi - sono Akallabeth, sulla storia del regno di Numenor, e Degli Anelli del Potere e della Terza Era, che racconta la genesi degli anelli di Sauron e dei fatti più vicini a quelli raccontati nelle due opere più famose del Professore.

Il Silmarillion non è un romanzo, è una teologia, una raccolta di miti, un'antologia. Si sente dalla differenza fra le varie parti, alcune più elaborate e raffinate anche nello stile, alcune evidentemente diverse dalle precedenti per stile (e dunque epoca e storia della scrittura). Alcuni brani, addirittura, sembrano in fase di lavoro, quasi appunti delle storie (così tante e varie da meritare una lunghezza anche doppia rispetto al già corposo volume) che sarebbero potute originare da quelle idee embrionali e questo si sente veramente tanto: elenchi di fatti, privi di respiro, di dialoghi, di narrazione (ma chi ha letto Il Signore degli anelli ricorderà uno stile curato e aulico). 

Ne risulta una lettura fatta di alti e bassi: alcuni pezzi scorrevoli, persino pregevoli, altri che è veramente impegnativo leggere. Nella mia esperienza da lettrice ci sono attimi di emozione e sospiri e momenti in cui avrei scagliato il volume fuori dalla finestra. Il tempo di lettura è stato molto dilatato. Mi sono interrotta anche per settimane e oltre prima di trovare il desiderio di tornare a sfogliare le pagine.

L'opera è complessa e costituisce quasi più materiale di studio e approfondimento che non narrativa, tuttavia alcune parti mi hanno presa molto e ritengo che ogni appassionato di Arda debba prima o poi passare attraverso questa lettura per godersi appieno la creatività e il genio di questo autore.

Giudizio: ⭐⭐⭐⭐